Il processo Aemilia, nella terra dei Cervi, ci scuote dalle fondamenta. Chi siamo, che cosa siamo stati, che cosa siamo diventati e perché.
Il processo che si apre a Reggio Emilia farà il suo corso, ma il dibattito pubblico è appena iniziato, ed è ancora acerbo. L’Istituto Cervi ne discuterà in una prossima iniziativa, prevista per il 7 maggio alle ore 15, dal titolo “La ‘Ndrangheta sui Campirossi – Per una controffensiva civile nella terra del processo Aemilia”. Con i cittadini, le istituzioni, la politica, le organizzazioni economiche, sociali, culturali.
La terra della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza che dalla Resistenza in poi ha alimentato la solidarietà diffusa, il governo della cosa pubblica attento e competente, un’attività economica dinamica ed innovativa, gli asili più belli del mondo, un welfare di comunità, questa terra che c’entra con la ‘ndrangheta? Con la paura, la corruzione, il disprezzo delle regole?
Eppure è successo, e non da ora ma da anni. Nel silenzio pubblico, infranto solo da una donna Prefetto, Antonella De Miro, che ha semplicemente fatto il suo mestiere in nome dello Stato, della legge, cioè del nostro bene comune, tutelando le nostre istituzioni. In nome della democrazia, perché la corruzione e la mafia distruggono il tessuto economico, sociale e civile di una comunità, cercano di cambiarne il DNA.
Se in democrazia la sovranità appartiene ai più, non ai pochi, come diceva Pericle, non possiamo consegnare le nostre città, il nostro territorio, al dominio occulto dei pochi che creano una rete di interessi di parte, di intimidazione, di controllo di ogni attività, parallela alla rete delle istituzioni e della vita civile.
Alla fine è il controllo delle strutture portanti della nostra società, dall’economia alle istituzioni, che la criminalità organizzata intende perseguire. Una rete connessa con interessi ben più forti e globali, dalla finanza al riciclaggio, che non sopportano la legalità, la trasparenza, in una parola la democrazia. Non importa se appaiono “normali”, perfino rispettabili. E’ un pezzo della scena che copre realtà criminali.
Nella terra dei Cervi tutto questo è tollerabile? No.
E allora, come è potuto accadere? Si è forse attutita la vigilanza delle coscienze? Sì.
Sono prevalsi gli interessi economici sul rispetto della legge e sulla costruzione di una società non asservita e non corrotta? Sì.
Non siamo stati abbastanza coraggiosi da scoprire la verità? Sì.
La vita civile, la politica hanno forse perduto il senso del proprio valore e della propria dignità? Ancora sì.
Nel tempo duro della scelta tra civiltà e barbarie i Cervi, e con loro tanti altri, hanno scelto la coscienza, il coraggio della verità, la decisione di mettersi sul lato giusto della storia. Per cambiare la storia e dare un futuro alle nuove generazioni. Hanno scelto la libertà al prezzo della vita.
Quella stessa scelta di libertà che oggi è chiesta a Reggio Emilia, all’Emilia Romagna, all’Italia di fronte alla criminalità organizzata. La libertà di essere se stessi dentro la vita democratica.
Una nuova Resistenza, morale, economica, politica, ci è chiesta oggi. A prezzi ben più sopportabili rispetto ad allora.
No, nella terra dei Cervi certe cose non possono accadere. E’ in gioco ancora una volta la nostra dignità di persone libere, la nostra libertà. Libertà dalla paura. E’ questo coraggio della libertà che oggi ci è chiesto, in questa terra, dentro e fuori le aule di giustizia.
Albertina Soliani
Presidente Istituto Alcide Cervi