Blog a cura di Raffaella Ilari con approfondimenti e interviste agli organizzatori, agli ospiti e al pubblico del 17° Festival di Resistenza
Sotto i girasoli: una storia di guerra e amicizia
Intervista a Davide Del Grosso, PuntoTeatroStudio
Di Raffaella Ilari
Tre ragazzi costretti a partire per la guerra. Con le armi portano anche la loro amicizia e l’attaccamento per la vita proprio di chi è giovane, sentimenti che sanno resistere alle atrocità della guerra e che permettono di affrontarla diversamente. Questa la trama di Sotto i girasoli della compagnia milanese PuntoTeatroStudio, primo spettacolo in concorso al Festival, interpretato da Davide Del Grosso, Francesco Errico, Andrea Lietti, diretto da Isabella Perego. Uno spettacolo già vincitore di numerosi premi e riconoscimenti e di cui parliamo con Davide Del Grosso che ne firma la drammaturgia.
Perché il titolo Sotto i girasoli?
Sotto i girasoli perché è tratto da uno dei momenti di racconto di Augusto, in cui muore il suo caro amico, Mario Foglia.
La guerra e l’amicizia sono i temi dello spettacolo. Come vengono sviluppati?
Il tema, o meglio l’ambiente di partenza del lavoro, è la guerra. Il nostro tentativo è stato però quello di sposare, come nella vita, una complessità. La guerra, elemento ingombrante nello spettacolo come nella vita dei protagonisti, che li porta anche via dalla vita, è vista dagli occhi di tre giovani e filtrata dalla potenza della loro gioventù. Giovani che diventano amici e che mettono di fronte al tema del conflitto qualcosa di altrettanto invincibile quali la fratellanza, l’essere compagni, alleati, amici. Non è che questo vinca sulla guerra ma certo è che questa non può eliminare la fratellanza, l’amicizia, l’amore. Sono potenze che si muovono insieme. Nello spettacolo si vede chiaramente perché l’amicizia rimane anche se spariscono, muoiono, gli amici. Alla fine Augusto resterà solo, sarà l’unico sopravvissuto nella vicenda raccontata. Ma il segno di quell’incontro rimarrà indelebile a prescindere che ci sia stato il conflitto.
Chi sono i protagonisti del racconto?
Siamo partiti dalla vicenda di Augusto Tognetti, persona realmente vissuta di cui abbiamo potuto raccogliere la voce e la testimonianza. La drammaturgia lo usa come un prisma, si proietta attraverso questa persona reale e ne viene quindi moltiplicata. Quelle che vediamo sono delle proiezioni che diventano i tre personaggi: Augusto, Carmine e Federico. Augusto (non Augusto Tognetti di cui sentiamo la voce) della scena è una sorta di bambino ingenuo, è la voce più fragile, un bambino che ne sa poco messo di fronte all’esperienza della guerra. Gli altri due sono più adulti, un po’ come dei fratelli maggiori però diversificati: Carmine è la voce dell’intelletto, della ragione, di un continuo cercare (e sperare) un senso dove il senso è completamente perduto. Federico invece è un corpo più romantico ed emotivo, è un musicista, come se fosse un cuore. Queste tre proiezioni, che partono tutte dalla vicenda di Augusto Tognetti, sono in scena Augusto, bambino che sa poco ancora della vita e spaurito di fronte all’esperienza del conflitto, Carmine, voce intellettuale ed affettiva, e Federico, la voce più emotiva. Due fratelli maggiori, un cuore e una mente, che lo accompagnano.
Come avete lavorato sulla testimonianza di Augusto Tognetti?
Il materiale di partenza erano delle interviste. Avevamo la voce di Tognetti nel suo lunghissimo racconto di guerra. Abbiamo sbobinato e trascritto questo materiale: la voce viva di un essere umano anziano che racconta la sua esperienza di guerra, materiale ancora potentissimo dopo 70 anni, con le sue sfumature e commozione. Se se ne voleva fare un racconto di guerra, il ruolo della drammaturgia era abbastanza limitato. Le parole di Augusto erano già giuste. Ci siamo quindi chiesti quale tipo di operazione drammaturgica fare. Abbiamo cercato di mediare quel racconto e di farne una favola adulta. Chiedersi come attraverso l’esperienza umana che vive il conflitto anche quella parte di mondo così cruenta possa racchiudere qualcosa che abbia a che fare con la bellezza. La sfida era: come posso tuffarmi nel racconto di Augusto e avere sete di bellezza in un atroce racconto di guerra? Nel racconto c’era già la bellezza, la drammaturgia ha cercato di snocciolarla.
Dal punto di vista del linguaggio abbiamo cercato di tenere due registri. Da una parte le sue parole nelle registrazioni, un linguaggio quindi realistico. Dall’altra le parole dei personaggi si abbandonano invece ad un lirismo, anche più vicino alla mia cifra stilistica. In una situazione apparentemente quotidiana i personaggi non parlano il quotidiano ma il lirico, in questo caso un lirico bambino.
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