Traccia dell’intervento di Albertina Soliani alla presentazione del libro
Don Pasquino Borghi. Partigiano della carità
di Luciano Rondanini
Bibbiano, 2 marzo 2019
Siamo nella chiesa di don Pasquino Borghi, un luogo di memoria. Un luogo di vita, di amicizia, di comunità, allora come stamattina. Anche le chiese, come i municipi, sono luoghi di testimonianza. Come Casa Cervi. A Boretto, per molti anni, ho abitato in via don Pasquino Borghi.
Sono molto grata agli organizzatori dell’incontro, all’autore del libro Luciano Rondanini, all’editore Carlo Pellacani, a Fiorella Ferrarini che sta animando la ricerca e la passione per la testimonianza di don Pasquino Borghi.
Sono grata soprattutto perché questa occasione ci consentirà nuove e vivaci riflessioni.
Vorrei chiedere subito a Luciano quando ha pensato di scrivere questo libro. Io c’ero quando la prima volta lui ne ha parlato. Eravamo insieme, con Annalisa Strada e Gianluigi Spini, intorno a un tavolo di una trattoria a Reggio Emilia dopo la presentazione del libro edito da Einaudi Ragazzi, dal titolo La Resistenza dei sette fratelli Cervi.
Luciano ha detto che pensava a don Pasquino, e a un libro che fosse facile per tutti, per i ragazzi e per gli adulti.
In questo dialogo con Luciano vorrei anche chiedergli perché ha scritto questo libro.
Oggi don Pasquino Borghi è con noi, presente qui. È un nostro contemporaneo, ma non è sempre stato così. Nei decenni scorsi ci sono state commemorazioni, e anche alcuni scritti su di lui. Ma è come se egli, nella narrazione pubblica, collettiva, fosse rimasto in disparte, ai margini.
Difficile mettere i preti sulla scena della storia, soprattutto tra fascismo e Resistenza. Specialmente a Reggio Emilia.
Da qualche tempo una nuova luce illumina la scena, grazie anche al gruppo degli “Amici di don Pasquino Borghi”. La loro iniziativa sta cambiando la narrazione politica del ‘900 reggiano.
Questo di don Pasquino è un itinerario spirituale. Vive tutto nella formazione della sua coscienza, nell’amore per la libertà, nell’apertura agli altri senza distinzioni. Parlando di lui, Medaglia d’Oro al Valor Militare, si deve riconoscere che il fondamento viene dalla sua formazione. Formazione di prete, integrale. Sarà monaco alla Certosa di Farneta, luogo di contemplazione, di essenzialità, di rigore. Ricordiamo che anche in quel luogo ci sono stati monaci vittime della rappresaglia nazifascista. Un filo rosso, del sangue versato, legherà per sempre la Certosa di Farneta, vicino a Lucca, a Tapignola, sul crinale appenninico.
Quando diventerà partigiano, don Pasquino prenderà il nome di “Albertario”, un sacerdote patriota schierato con i più deboli. In quel nome c’è l’amore per la patria.
Un uomo spirituale, don Pasquino, che incontra la politica e la storia, e non si sottrae. Diventa resistente per cambiare la storia dell’umanità.
A Tapignola arriveranno i Cervi, da poco saliti sui monti, per organizzare la Resistenza. Don Pasquino accoglierà Aldo e gli altri, e nascerà un legame non solo di lotta, ma di incontro personale. Con Aldo discuterà anche di religione, delle cose ultime.
Don Pasquino era disarmato, non solo realmente, ma nel suo animo. Era aperto all’incontro con tutti, da vero partigiano della carità, come lo definì la madre Orsola. Lei ne conosceva il cuore.
Partigiano non solo della libertà, ma della carità: è una visione del mondo e della vita che fa nascere la Resistenza.
Anche da questa esperienza nasce il bisogno di riflettere di più sul rapporto tra spiritualità e politica, entrambe essenziali per aprire autentiche strade nuove nella vicenda umana. Don Pasquino è sempre stato un sacerdote, un missionario, un monaco consapevole delle sue scelte. Lo è stato fino alla fine, consapevole delle ragioni ultime che spiegavano la sua vita e avrebbero spiegato la sua morte. Alcuni giorni prima dell’arresto, nel gennaio 1944, sceso nella canonica di San Pellegrino, incontrò gli amici della Resistenza, don Angelo Cocconcelli e Giuseppe Dossetti. Lo avvertirono del pericolo che incombeva anche per lui, lo invitarono alla prudenza. Don Pasquino sapeva che era chiamato a un compito per il quale avrebbe potuto pagare il prezzo più alto. E continuò il suo lavoro.
La sua apertura a tutti fa pensare alla dimensione popolare della sua azione, nelle parrocchie dove è stato, a Canolo di Correggio e a Tapignola. È stato un uomo che aveva in mente il mondo, si sentiva missionario, è andato in Africa.
La sua vita e la sua morte ci pongono una domanda: come è stata la Chiesa, a cui apparteneva, in questa storia? Quali difficoltà ha incontrato?
Alla guida della Chiesa reggiana c’era Monsignor Brettoni, non servile verso il fascismo, alla fine vittima anche lui dell’inganno fascista.
La storiografia e il dibattito pubblico di questi decenni hanno portato talvolta a pronunciare la parola riconciliazione. Necessaria, tra le vittime e i carnefici, nelle comunità lacerate. Difficilmente a proposito della Chiesa, del fascismo e della Resistenza, si parla della forza della spiritualità che ha mosso le coscienze e ha potentemente contribuito al cambiamento della storia. Don Pasquino ne è stato un esempio.
La forza della spiritualità non è una circostanza accidentale, da tenere quasi ai margini. Va studiata come un contributo decisivo alla Resistenza. Del resto l’incontro di forze diverse nel movimento di Liberazione sta a significare che, arrivando da strade differenti, si condivideva l’unica via di uscita, sulla base di idealità molto solide.
A chi appartiene oggi l’eredità di don Pasquino?
A tutti, alla comunità reggiana, all’Italia intera. Forse una nuova narrazione di quella stagione è necessaria anche qui, a Reggio Emilia, illuminando totalmente la scena della storia di allora.
L’eredità di don Pasquino appartiene anche a Sergio Paderni, il ragazzo di 15 anni della RSI che gli sparò, oggi ultranovantenne. Il perdono della madre Orsola e il suo scambio con la madre di Sergio raccontano molto di ciò che di nuovo è potuto nascere dal sacrificio di don Pasquino e dal mondo nato dalla Resistenza. La libertà conquistata genera la carità.
L’eredità più forte è consegnata a noi, che dobbiamo saper riconoscere il fascismo di oggi. “Ogni tempo ha il suo fascismo”, ci ha detto Primo Levi.
L’eredità di don Pasquino appartiene tutta intera alla Chiesa, che anche da lui può imparare ad essere una chiesa profetica.
L’eredità di don Pasquino appartiene ai giovani, chiamati a diventare essi stessi testimoni.
Questo libro li aiuterà a conoscere don Pasquino Borghi e la memoria di quel grande cambiamento del mondo, costato un prezzo altissimo.
Non dobbiamo dire che bisogna consegnare ai giovani la memoria, ma piuttosto che i giovani debbono cercare, prendere nelle loro mani la memoria di ciò che nel passato ha determinato il futuro.
Il mappamondo sul trattore di Casa Cervi ci dice che la Resistenza continua, che la costruzione del mondo nuovo, allora sognato dai resistenti, continua oggi con noi.