Ricorre questo 10 giugno il dodicesimo anniversario della scomparsa di Maria Cervi. Una donna che ha incarnato per lungo tempo la memoria elevata a lascito educativo.
Animatrice della rinascita di Casa Cervi attraverso le sue molte stagioni, Maria è stata prima di tutto una infaticabile narratrice per i ragazzi che si sono accostati, ai Campirossi così come in giro per tutta Italia,alla storia esemplare della sua famiglia. All’impegno di riscatto, alla visione di libertà, al sacrificio indimenticabile di suo padre Antenore e degli altri fratelli Cervi.
Maria Cervi ha sempre usato tutte le sue forze e la sua intelligenza per ricordare, raccontare, rappresentare nel proprio tempo i valori della resistenza, dell’antifascismo, della pace, della Costituzione. Altrettanto stiamo facendo noi, per rammentare la sua dedizione, la sua tenacia, la sua eredità di grande e lucida testimone.
Lo facciamo insieme a tanti, come la storica Laura Artioli, che ha curato una sua originale biografia, e che con noi ha voluto oggi ricordarla con parole speciali.
Albertina Soliani
Presidente Istituto Cervi
Per Maria
Il ricordo è un fatto privato – sosteneva convinta Maria Cervi – , la memoria un dovere civico.
La nipote più grande di Alcide è scomparsa improvvisamente il dieci giugno 2007, in combattimento, ricordano all’Anpi provinciale di Reggio Emilia. Aveva settantatré anni, e fino a poche ore prima aveva accolto alla casa museo dei Campi rossi un gruppo di visitatori.
Non avrebbe potuto fare altrimenti.
Mia madre – dice Anna Bigi, la sua figlia maggiore – ha sentito come una necessità prioritaria portare avanti il significato, i valori, le ragioni per cui suo padre e i suoi zii sono stati uccisi. Era proprio un bisogno più forte di lei, che prevaricava qualunque altra cosa.
E che andava ben oltre il semplice fare memoria.
Maria – che era dotata di una grande intelligenza politica e di una attitudine educativa che le consentiva di ottenere l’attenzione anche delle scolaresche più scalmanate – aprirà e attualizzerà l’idea di partecipazione e di impegno sociale fino a riconoscersi nelle nuove resistenze, in difesa della Costituzione e dei diritti civili.
Ecco che cosa mi lega a voi, un filo diretto di comune sofferenza, ma anche di grande impegno e volontà a non cedere, dirà a Palermo nel marzo 1992, durante un incontro con le donne siciliane contro la mafia. Non hanno ceduto le donne adulte della mia famiglia e insieme a loro non hanno ceduto le altre donne colpite dalla ferocia fascista, si sono asciugate le lacrime e hanno continuato ad aiutare la Resistenza, ad ospitare partigiani, a procurare mezzi, a dare il loro prezioso contributo rischiando ancora, pur di non piegarsi.
Una centratura, la sua, che disseminava tranquillità, ricorda Paola Varesi.
Eppure Maria era arrivata per sentieri stretti alla ragione del suo essere al mondo, come documenta una ricerca in corso di pubblicazione.
Attraverso terreni inospitali.
Per gradi discontinui e dolorosi, a partire da quando – nove anni, nel gennaio 1944 – in famiglia non le avevano risparmiato la verità spietata che a suo nonno Alcide, anziano e malato, sarebbe stata rivelata il più tardi possibile.
Per sofferenze, ripieghi e rinunce. Per una cornice di impegno che l’aiutasse a tenersi in piedi. Grazie a un amore necessario come quello di e per suo marito Giovanni.
A forza di cercare e di ascoltare.
Fino al momento in cui il suo vissuto – e il coagulo di sofferenza che l’avvolgeva – si era almeno tradotto in parole che poteva porre fuori di sé. E se non avrebbero mai riparato la crepa invisibile che la segnava – di cui Silvia, la minore delle sue figlie, intuiva le tracce nel quotidiano – sarebbero divenute però il suo luogo di riconoscimento, la sua fonte di energia, la sua salvezza e un imperativo morale.
Laura Artioli
Maggio 2019