Intervista a Aldo Cassano > Sotto la grande quercia

Blog a cura di Raffaella Ilari
con approfondimenti e interviste agli organizzatori, agli ospiti e al pubblico
del 18° Festival di Resistenza
 

Figli senza volto: la tragedia di una generazione che ha tentato l’assalto al cielo 

Intervista a Aldo Cassano
Di Raffaella Ilari

Anni ’70. Siamo nella periferia di una città del Nord, in un casermone dell’edilizia popolare dove vive una coppia come tante. Dietro i gesti e le azioni di una normale vita quotidiana si nascondono due terroristi in clandestinità e con essa i sentimenti di disperazione che alimentano la scelta estrema della lotta armata: la dimensione di una vita consumata nell’ombra, l’ansia di riuscire a mimetizzarsi, la paura di essere riconosciuti, l’ascolto dei passi e il controllo ossessivo dei vicini, nella speranza che tutto vada come deve andare… L’interesse della Compagnia Animanera è quello di entrare nella psicologia di quei figli della società della crescita economica e del benessere diffuso che hanno scelto di muovere guerra a un sistema capace di garantire soltanto quella pallida esistenza: la tragedia di una generazione che ha tentato l’ “assalto al cielo”.

Ne parliamo con Aldo Cassano, regista dello spettacolo che vede in scena Natascia Curci, prodotto dalla Compagnia Animanera/CRT Centro Ricerche Teatrali con il sostegno del Comune di Milano.

Chi sono i figli senza volto, che danno il titolo allo spettacolo?
Sono in primis i “vostri figli” nel senso di persone comuni, vicini di casa, impiegati, operai, studenti con famiglie e percorsi di vita ordinari fino al momento fatidico, al punto di non ritorno. La nostra protagonista dice: “Come è cominciata. Non ricordo… Non ricordo il primo punto della maglia che ho agganciato tra le dita. Non ricordo per quale filo sono arrivata a questo punto della maglia. Ho seguito il filo della ribellione pura, l’acqua della vita. Ho bevuto l’acqua pura della ribellione e l’ho offerta con le mie mani affinché chi la bevesse ne fosse rinfrescato.”

Questo spiega la parola figli. Per quanto riguarda invece l’espressione “senza volto” è un modo per differenziare i terroristi che ancora erano vivi, liberi e quindi ancora non avevano un volto sui giornali e in televisione. Un volto che sarebbe apparso nel momento della cattura o dell’uccisione.

Erano uomini e donne colti da uno “stato nascente” rivoluzionario, che hanno abbracciato la lotta armata, spinti inizialmente da un vento di ideali puri di ribellione che in quegli anni soffiavano sulle coscienze contro ogni genere di ingiustizia economica, politica e sociale, conseguenze di un capitalismo fagocitante, poi forse caduti verso un’esaltazione eroica di trasformazione del mondo ad ogni costo; un processo che però, come dice anche la protagonista di “Figli senza volto”, ha una concausa nelle reazioni repressive della società capitalistica di quegli anni: “Sono state le vostre mani a intorbidirla di morte, ma eravate più forti e ho dovuto raccogliere le armi che mi avete consegnato. Sono diventata come voi. Ho bevuto l’acqua della ribellione amara”.

Come avete adattato il racconto di Ida Farè?
Abbiamo cercato di rimanere il più possibile fedeli al racconto di Ida Farè, ex giornalista del Manifesto, recentemente scomparsa, che al tempo intervistò molte delle terroriste e sul tema scrisse il libro “Mara e le altre”. Dopo le prime prove aperte, anche in presenza dell’autrice, abbiamo sentito il bisogno di approfondire alcuni concetti e così Ida ha ripreso la penna e ci ha regalato altre intense pagine di esperienze vissute da queste donne, in particolare l’idea che l’opinione pubblica e i mass media avevano su di loro.

Come è stato affrontato il terrorismo al femminile?
Nello spettacolo si indaga il percorso psicologico di una militante delle Brigate Rosse partendo dai suoi ideali puri di libertà fino alla deriva distruttiva della lotta armata, dalle speranze di un mondo migliore alla schiavitù di una lotta sanguinosa e senza sbocchi. Siamo partiti da una visione molto intimista, solitaria, quasi reclusa di donna che finge di essere una moglie perfetta. Il paradosso di donne che sognavano la liberà assoluta, un mondo diverso e invece erano costrette a vivere nella maniera più ordinaria possibile perché il rischio di essere scoperti era molto forte, tutti erano allertati sulla questione e bastava poco per essere sospettati e denunciati. Spesso nascevano amori tra compagni di lotta con cui condividevano le missioni. Abbiamo approfondito particolarmente il conflitto tra il desiderato di una donna rivoluzionaria e piena di ideali e il vissuto paradossalmente conformista e odiato.

Quale è, oggi, la contemporaneità dello spettacolo?
Quella teatrale è la formula di comunicazione più arcaica, pretende la presenza dal vivo, è un luogo di ascolto collettivo che coinvolge tutti i sensi, crea le condizioni che permettono al cittadino di sentirsi costruttore della sua società. Che la persona diventi ascoltatore e possa riflettere su dove vive e come vive è un fatto politico, e un teatro che prende la parola in questo senso è un teatro disturbante. Oggi la coscienza collettiva si è disgregata per lasciare spazio ad un imperialismo individuale, virtuale ed egoistico. E quando i mass media raccontano e testimoniano le rivolte, le guerre del nostro tempo, si interviene quasi esclusivamente quando ci sono interessi economici in campo. Il teatro può e deve reinterpretare gli eventi, raccogliere testimonianze, acquisire e diffondere nuovi elementi di informazione e controinformazione, dimostrare che c’è chi non accetta l’oblio e indurre le nuove generazioni a prendere e coscienza e non cadere negli stessi errori.

Penso che un artista abbia la responsabilità di ciò che rappresenta e del messaggio che, in modo conscio o no, veicola. Deve farlo con intransigenza e coraggio, evitando le trappole dell’ideologia, conoscendo i fatti, immaginando quello che non si sa o si tace. Deve assumersi la responsabilità nei confronti delle generazioni che non hanno vissuto quel pezzo di storia e di chi c’era e di chi ha pagato caro. Una responsabilità che dovrebbero avere tutti quelli che cercano di capire cosa ci sta accadendo, tutti quelli che si interrogano sulle trasformazioni della realtà e sulle spinte che le determinano, tutti quelli che non possono accontentarsi delle spiegazioni di un potere che è stato in Italia corrotto, inetto e degradato. Lo spettatore attraverso lo spettacolo teatrale deve poter avere la possibilità di elaborare, riflettere, immedesimarsi, analizzare la Storia e trarne le proprie conclusioni.

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