Il discorso del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella per il “Giorno della Memoria”

Quirinale, 27/01/2020

“Rivolgo un saluto ai sopravvissuti ai campi di sterminio qui presenti, ai Presidenti del Senato, della Camera, del Consiglio e della Corte Costituzionale, a tutti i partecipanti a questo evento e a quanti lo seguono in tv o attraverso altro mezzo.

Desidero anzitutto associarmi, con commozione, al dolore per la recente scomparsa di tre dei sopravvissuti ai campi di sterminio nazisti: Alberto Sed, Piero Terracina e Franco Schoenheit.

Come i pochi altri che sono tornati dai campi della morte, hanno testimoniato, in vita, il dovere doloroso della memoria. Hanno dimostrato che i nazisti potevano distruggere le loro vite e quelle dei loro cari, ma non sono riusciti a cancellare quanto c’era nel loro animo.

Desidero riferirmi a loro con un’espressione ebraica molto intensa, che si utilizza quando scompare una persona cara: “Che il loro ricordo sia di benedizione”.

Il loro ricordo, il ricordo delle sofferenze indicibili patite da una moltitudine di persone, impegna, ancor di più, a tramandare la memoria della Shoah; e a riflettere sulle sue origini e sulle sue devastanti conseguenze.

Ringrazio tutti coloro che sono intervenuti e hanno contribuito a rendere questo momento del Giorno della Memoria efficace e coinvolgente.

La bravissima conduttrice Stefania Battistini, il dottor Sonnino, con la sua interessante relazione, la ministra della scuola, Lucia Azzolina, la presidente dell’Ucei Noemi di Segni, due “Figlie del Dopo” Rosanna Bauer e Federica Wallbrecher, che ci hanno recato la loro toccante testimonianza insieme ai ragazzi delle scuole, Eden e Giulio. Grazie a Valentina Bellé; a Ludovica Valori e al suo gruppo che, con le parole e la musica, ci hanno introdotto emotivamente nel mondo buio della Shoah.

Un saluto particolare, insieme ai sopravvissuti presenti qui, va a quelli che si trovano nelle scuole, nelle piazze, nei convegni per recare la loro testimonianza, così importante e preziosa, di umanità e di rifiuto dell’odio.

Rivolgo un pensiero riconoscente alla memoria tutti i militari italiani deportati nei lager nazisti, per il loro netto e coraggioso rifiuto di servire, dopo l’8 settembre, gli aguzzini di Hitler.

Esprimo gli auguri più intensi di buon lavoro alla professoressa Milena Santerini, designata coordinatrice nazionale per la lotta contro l’antisemitismo. Una nomina che pone l’Italia all’avanguardia nel contrasto a un fenomeno odioso. Purtroppo non scomparso, come abbiamo visto anche di recente, con l’ignobile scritta sul muro di una casa di Mondovì.

Il giorno della Memoria – che si celebra ogni anno anche qui, al Quirinale – non può e non deve esaurire la riflessione su quello che accadde, nella prima metà del secolo scorso, nel cuore del nostro Continente.

La Shoah, per il suo carattere unico e terribile, trascende la dimensione storica del suo tempo e diventa monito perenne e lezione universale.

Nell’arco di un quinquennio, il regime nazista ha cancellato la vita di quasi sei milioni di donne, uomini, bambini perché ebrei. Soltanto la sconfitta militare ha evitato che Hitler – e i suoi gregari presenti nel resto d’Europa – raggiungessero il delirante obiettivo di sterminare l’intero popolo ebraico. Un popolo radicato, da tempo immemorabile, nel continente europeo. Una presenza, una cultura costitutive della storia e della stessa identità europea.

Winston Churchill scrisse che la Shoah era stata «il crimine più grave e più mostruoso mai perpetrato nella storia dell’umanità». Per brama di conquista e di dominio, a causa della sua perversa concezione di superiorità razziale, il nazismo scatenò una guerra che provocò cinquantacinque milioni di morti e causò la rovina della stessa Germania e dei suoi subalterni alleati.

Le conseguenze dell’abominio razzista si riversarono, luttuosamente e inevitabilmente, sul mondo intero. Perché la Shoah riguardava, e riguarda, tutti, non soltanto gli ebrei, che ne furono le vittime designate. In quegli anni orrendi e funesti – dominati dalla violenza, dall’odio, dalla sopraffazione – fu infatti posto a rischio il concetto stesso di umanità. E il suo futuro.

La storia dell’uomo è costellata, purtroppo, da tempi antichi, di massacri, guerre e genocidi. Di regimi violenti, oppressivi, arbitrari. Ma, parallelamente, con il trascorrere dei secoli, si sono via via fatte strada – con fatica ma con costanza – correnti di pensiero che hanno posto al centro della propria riflessione la dignità di ogni persona, l’inviolabilità dei suoi diritti fondamentali e il dovere di porre dei limiti al potere assoluto.

Il secolo scorso, il Novecento, si apriva in Europa con l’aspirazione di portare finalmente a compimento la libertà, l’eguaglianza, la fraternità degli uomini.

Nel giro di pochi anni, al contrario, dalle macerie fumanti della Grande Guerra presero corpo fantasmi e ideologie aberranti, che cancellarono secoli di conquiste e di civiltà, facendo precipitare l’Europa e il mondo nell’abisso più cupo e più perverso della sua storia.

Nella Germania di allora elementi di antisemitismo, di natura religiosa o culturale, già presenti, da secoli, su tutto il territorio europeo, si congiungevano fino a confondersi con teorie pseudoscientifiche di stampo razzista e con le perniciose ideologie del nazionalismo pangermanista e dello “spazio vitale”; inteso come territorio assegnato dal destino al popolo dei cosiddetti “ariani” e abusivamente occupato da popolazioni inferiori.

Nella concezione nazista distorta, come ha ben scritto lo storico Georges Bensoussan, “la nazione non è un patto tra cittadini liberi che sanno essere una comunità di destino” ma “un’emanazione della razza, del sangue e del suolo, una ‘lotta per la vita’ che schiaccia le etnie più deboli”.

E se, in questa farneticante, odiosa gerarchia di razze umane, il vertice era occupato dagli ariani, al livello più infimo si voleva collocare gli ebrei. Talmente esecrati, da non meritare nemmeno la mesta sorte di servire – come schiavi – i popoli cosiddetti superiori. L’unico implacabile destino che il III Reich assegnava agli ebrei era quello della distruzione, della totale cancellazione. Un obiettivo per la prima volta concreto, da raggiungere a ogni costo. E senza risparmio di mezzi.

Milioni di donne, uomini, bambini, in massima parte ebrei, ma anche rom, omosessuali, dissidenti, testimoni di Geova, malati di mente, disabili, furono fucilati, fatti morire di fame o sterminati nei camion e nelle camere a gas, bruciati nei forni o nelle fosse comuni, senza nemmeno il diritto al nome e al ricordo.

Nel gergo disumano delle SS erano semplicemente “stuck”, pezzi, oggetti inanimati e senza alcun valore.

Scrisse Hanna Arendt: “Morirono come bestiame, come cose che non avevano né corpo né anima e nemmeno un volto su cui la morte avrebbe potuto apporre il suo sigillo”.

Del resto, prima ancora di toglier loro la vita, i nazisti avevano sottratto alle vittime le caratteristiche, le qualità, le peculiarità che costituiscono l’essere umano, di tutti e di ciascuno.

Le leggi razziali, in Germania – come in Italia – negavano agli ebrei l’istruzione, l’affettività, il lavoro, la proprietà, la casa, la cittadinanza, i diritti. Negare l’umanità per poi sopprimere.

E tutto questo avveniva nell’indifferenza di tanti. L’indifferenza: anticamera della barbarie. Un’indifferenza diffusa. Anche in Italia.

Ma nei campi di sterminio non si progettava soltanto, su scala industriale, la morte di milioni di esseri innocenti. Da quelle “città di cenere” sarebbe dovuto nascere l’uomo nuovo, la razza eletta, destinata a dominare il mondo per i millenni futuri.

Il dottor Mengele, l’angelo della morte di Auschwitz, non era solo il medico che – tradendo ignobilmente il proprio compito – decideva, con un gesto della mano, della vita o della morte di migliaia e migliaia di persone. Era anche lo pseudo scienziato, apprezzato e incoraggiato dal Reich, che, vivisezionando, senza alcuno scrupolo, esseri umani, particolarmente i bambini, cercava di apprendere i segreti dei concepimenti gemellari, per aumentare la prolificità delle donne ariane o per scoprire il sistema per trasformare il colore degli occhi in azzurro.

Lo sterminio del “popolo eletto” si poneva, nella scellerata e farneticante concezione nazista, come condizione necessaria per garantire un futuro di prosperità alla razza ariana.

I responsabili della Shoah non furono soltanto un piccolo manipolo di criminali, un gruppo di sadici assetati di sangue, un’avanguardia fanatica e indottrinata pronta a tutto. Per far funzionare a regime la poderosa macchina dello sterminio venne coinvolto almeno un milione di persone. Non soltanto carcerieri e aguzzini, ma anche industriali, ferrovieri, impiegati, medici, ingegneri, chimici, giuristi, poliziotti. Senza contare l’approvazione tacita o la partecipazione attiva di comuni cittadini di tutta Europa, che accompagnava le atrocità naziste.

E tornando a Mengele, non si può fare a meno di ricordare la rete di protezione e complicità insospettabili che gli permise, nel dopoguerra, di sottrarsi, al pari di molti altri gerarchi, al giudizio per gli efferati crimini contro l’umanità, continuando a esercitare, sotto mentite spoglie, la professione di medico, così gravemente tradita.

È doveroso ricordare – e celebrare – i tanti eroi, i “giusti” delle Nazioni, che, a rischio della vita, hanno salvato decine e decine di ebrei in pericolo. I loro gesti, coraggiosi e temerari, sono come piccole fiaccole di luce e di speranza che hanno rischiarato una notte di tenebre.

Al contempo, non possiamo coprire con una coltre di oblio i nomi, gli autori, i responsabili di tante efferatezze.

In Italia, sotto il regime fascista, la persecuzione dei cittadini italiani ebrei non fu, come a qualcuno ancora piace pensare, all’acqua di rose. Fu feroce e spietata. E la metà degli ebrei italiani, deportati nei campi di sterminio, fu catturata e avviata alla deportazione dai fascisti, senza il diretto intervento o specifica richiesta dei soldati tedeschi.

Tra il carnefice e la vittima non può esserci mai una memoria condivisa.

Il perdono esiste: concerne la singola persona offesa.

Ma non può essere inteso come un colpo di spugna sul passato.

La memoria delle vittime innocenti di quelle atrocità è patrimonio dell’intera nazione, che va onorato, preservato e trasmesso alle nuove generazioni perché non avvengano mai più quegli orrori.

La settimana scorsa sono stato a Gerusalemme, insieme a molti altri capi di Stato, per il 75° anniversario della liberazione del campo di Auschwitz. E’ stata una occasione preziosa – un’occasione storica – per ribadire, una volta per tutte, l’impegno della comunità internazionale contro il razzismo, l’odio, la guerra e la sopraffazione. Contro l’antisemitismo, di vecchio e di nuovo conio, che talvolta si traveste da antisionismo, negando il diritto all’esistenza dello Stato di Israele.

La considerazione che ogni uomo è depositario di eguali e inviolabili diritti e che nessuno può essere discriminato a causa del sesso, della razza, della religione, del ceto sociale, è un principio inderogabile, scritto con chiara fermezza, nella nostra Costituzione Repubblicana.

Questo principio, affermato anche nella Dichiarazione universale dei Diritti dell’Uomo, deve guidare sempre di più la comunità internazionale nella risoluzione dei conflitti e delle controversie, che sovente nascono da volontà di discriminazione e dal mancato riconoscimento della dignità dell’altro.

La terribile stagione del nazismo non fu solo, come hanno notato con acume diversi studiosi, una curva a gomito nel cammino della storia, la regressione verso un tempo lontano e barbarico, in cui tornava a vigere la legge del più forte, la tracotanza del potere assoluto.

Nel nazismo concezioni disumane e arretrate, retaggio del passato, convivevano e anzi si fondevano con l’utilizzo dei più moderni ritrovamenti in campo scientifico e tecnologico; e un’avanzata organizzazione dello Stato permise di realizzare un efficacissimo e capillare sistema burocratico, totalmente proteso verso l’obiettivo finale, lo sterminio degli ebrei. La più grande e moderna macchina di morte, al contempo brutale e sistematica, mai costruita dall’uomo.

Per fare davvero i conti con la Shoah, allora, non dobbiamo più rivolgere lo sguardo soltanto al passato.

Perché il virus della discriminazione, dell’odio, della sopraffazione, del razzismo non è confinato in una isolata dimensione storica, ma attiene strettamente ai comportamenti dell’uomo.

E debellarlo riguarda il destino stesso del genere umano.

 

(tratto dal sito ufficiale del Quirinale)

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