In democrazia, solo lo Stato detiene il potere d’imperio a salvaguardia dell’interesse comune, compresa la facoltà di punire il cittadino tramite – ad esempio – l’arresto, il carcere oppure la sorveglianza speciale. Questa è una misura preventiva che la repubblica ha ereditato dal fascismo ed è fortemente lesiva delle libertà personali (prevede obbligo di dimora, coprifuoco, divieto di riunione e di parlare in pubblico, ecc.). Si basa solo sulla presunta pericolosità sociale dell’individuo per l’ordine pubblico, in totale assenza di reato e di formalizzazione di accuse. Per queste ragioni e per la severità delle misure restrittive che comporta, la sorveglianza speciale prevista dalla legge italiana è stata posta sotto analisi dalla Corte Europea per i Diritti Umani.
In assenza di reato e di processo, com’è giustificabile prendere provvedimenti contro la possibilità che un cittadino crei pericolo? Esiste un forte rischio di manipolazione politica, al netto dei benefici di prevenzione del crimine (mafia, radicalizzazione fondamentalista, ecc.). Casi recenti di cronaca giustificano uno sguardo critico e degli interrogativi: la supremazia di stato, quale interesse comune persegue? E comune a chi?
La misura di sorveglianza speciale, regolata in Italia dal decreto legislativo 159/2011 e successive modifiche, è destinata a prevenire reati contro l’ordine pubblico da parte di persone che si sospetta possano compierne, in seguito a segnalazione della polizia, che stila note sul cittadino e ne delinea la personalità. Sulla base di questa profilazione, il giudice di una sezione speciale del tribunale – senza formalizzare accuse, senza passare per un processo, senza che sia stato commesso alcun reato – può imporre tutte le misure restrittive e lesive della libertà personale previste dalla sorveglianza speciale. È una misura che in casi, ad esempio, di nota affiliazione mafiosa o di evidente radicalizzazione nel fondamentalismo religioso di matrice terroristica, potrebbe portare a un’ideale prevenzione di atti criminali. D’altra parte, si hanno applicazioni della legge a situazioni decisamente differenti.
Un caso recente in Italia è quello di Maria Edgarda Marcucci (Eddi). Studentessa di filosofia a Torino, fra il 2017 e il 2018 ha combattuto l’ISIS e il fondamentalismo jihadista in Siria a fianco delle Unità di Protezione delle Donne (o YPJ), in difesa della Confederazione Democratica del Rojava, un’esperienza di democrazia diretta basata su laicità, emancipazione femminile ed ecologia. Ha combattuto attivamente ad Afrin per proteggerla dai jihadisti, nella stessa battaglia che ha visto cadere Lorenzo Orsetti, giovane di origini fiorentine partito come Eddi alla difesa degli stessi ideali di libertà e fratellanza.
L’eroismo di Lorenzo è stato riconosciuto anche dalle autorità italiane, viene ricordato come un partigiano e gli è valso il Gonfalone d’argento, massima onorificenza della regione Toscana. Eddi, e con lei altri tre compagni, non hanno avuto il merito di perdere la vita: rientrati in Italia, sono stati infatti coinvolti in un procedimento giudiziario che si è concluso per Eddi – e per lei sola, unica donna – nell’applicazione della sorveglianza speciale per 24 mesi. Questa è stata giustificata dalla pericolosità sociale di Eddi, che non solo ha appreso tecniche militari al di fuori dell’esercito italiano, ma durante il procedimento giudiziario ha partecipato a due presidi pacifici e a una manifestazione del 1° maggio contro il coinvolgimento italiano nell’armamento della Turchia (che ora, insieme ai jihadisti, controlla parti del Rojava, imponendo di nuovo una visione fondamentalista della shari’a), continuando la sua lotta su temi come il femminismo, la difesa dell’ambiente e dei popoli. Perciò ora ha l’obbligo di dimora in un unico domicilio, divieto di uscire fra le 21 e le 7, obbligo di firma, ritiro di patente e passaporto, invalidazione della carta d’identità per l’espatrio, divieto di parlare in pubblico, di partecipare ad attività politiche e di incontro con più di 2 persone.
Il provvedimento non è stato preso a seguito di reati, perché Eddi è a oggi incensurata: mira piuttosto a colpire le idee, la presunzione di poter combattere una battaglia diversa da quelle del proprio stato decise su una scacchiera economica e politica spesso palesemente ingiusta. Qui sta il pericolo del potere coercitivo: che lo stato eserciti il suo imperio non più per punire il reato, ma per opprimere chi osa sperare e tentare di costruire una società differente, più giusta, a volte radicalmente contraria a quella attuale. E perché no, forse senza più stato.
Vale ricordare, in chiusura, che nello stesso periodo in cui si decideva della sorveglianza speciale da imporre ad Eddi, Kujtim Fejzullai (già sotto osservazione dell’Ufficio per la Protezione della Costituzione e Antiterrorismo in Austria) veniva rilasciato dopo aver scontato solo 8 mesi di carcere su 22 per aver tentato di unirsi all’ISIS in Siria. Nemmeno un mese fa compiva un attacco terroristico – rivendicato dall’ISIS – a Vienna, causando 4 morti e 23 feriti. Esattamente ciò che Eddi è andata a combattere faccia a faccia.
Roberto Bertozzi
Istituto Alcide Cervi
Il ribelle dei Campirossi