Oggi per il sesto giorno consecutivo le piazze del Myanmar probabilmente si sono riempite di studenti della Generazione Zeta, di lavoratori in sciopero, medici, insegnanti, monaci buddisti, donne e uomini di ogni età. L’avverbio dubitativo è d’obbligo nonostante le sei ore di differenza nel fuso orario, perché internet funziona a singhiozzo e così le immagini delle mobilitazioni arrivano in ritardo, diffuse quando possibile da reti private e social.
Fino a ieri si sono promossi cortei in ogni città, affrontando a mani nude la polizia che, dopo i cannoni ad acqua e i gas lacrimogeni, ha cominciato a usare proiettili veri. E ci sono i primi morti. Le foto e i video sul web mostrano una giovane ragazza colpita alla testa a Naypyidaw, la capitale.
Si sfila con le mascherine anticovid, i cartelli e le tre dita mostrate nel gesto simbolo che chiede la liberazione di Aung San Suu Kyi, arrestata il 1° febbraio con altri dirigenti del suo partito, la Lega nazionale per la democrazia.
Ci informa Albertina Soliani, presidente dell’Istituto Cervi, vicepresidente nazionale Anpi, già senatrice e presidente dell’Associazione parlamentari amici della Birmania: «Sappiamo –– che i parlamentari eletti a novembre e ora agli arresti si sono riuniti clandestinamente online e hanno promesso di non cedere. Vogliono affidare un secondo mandato a San Suu Kyi. Inoltre, secondo le nostre fonti, il golpe organizzato dal generale Min Aung Hlaing non ha trovato compatto l’esercito. Forse si aprono spazi per una soluzione».