Articolo scritto da Mirco Zanoni, Coordinatore culturale dell’Istituto Alcide Cervi, pubblicato sulla Gazzetta di Reggio il 22 agosto 2021.
«Ottanta anni fa, sul mappamondo di Casa Cervi l’Afghanistan lo vedevano così, senza la H. Remoto, incastonato in altre terre dai nomi e dalle geografie altrettanto estreme. Uomini e donne ignoti, destini lontani. I mezzi per sapere erano pochissimi, le occasioni per vedere nulle. Eppure c’era la forza di immaginare un mondo differente. In Italia, in Europa, ovunque. E persino un sogno ingenuo ha la forza del futuro.
Oggi guardiamo quello stesso ritaglio di mappa senza capirne molto di più, solo più sgomenti. Possiamo sapere tantissimo, “vedere” attraverso i testimoni di un contesto così complesso. Ma l’Afghanistan, che ora scriviamo con l’H ma continuiamo a leggerlo senza, è irriducibile ad ogni schema, e resta sempre lì in mezzo. A metà strada tra Occidente e Oriente, tra il Mediterraneo e il Bengala. Un posto dove non sembra dover passare nessuno, eppure sono passati tutti. “Pianura e monti terra strana”, faceva dire Alcide a suo figlio Aldo. Parlava dell’Italia, che conosceva, della terra nostra che letteralmente maneggiava. Questo, invece è un altro mondo.
Si possono raccontare i fatti che stanno accadendo da molti punti di partenza oggi, ma sono tutti scorci parziali, visti da qui; dalla sponda fiacca della storia, dove sembra non scorrere più l’iniziativa globale della civiltà. Ci sono le ricadute politiche immediate, e ci sono le conseguenze geostoriche di lungo termine, passate e future. Ci sono anche gli aspetti militari, che pure fanno parte di questa caduta. Ci sono i conflitti culturali ed etici, identitari e religiosi. Ci sono immani emergenze umanitarie e una probabile catastrofe di genere, che riguarda le donne afghane e non solo afghane. Li stiamo analizzando e raccontando con gli strumenti in nostro possesso, con i sensi in dotazione: sordi alle voci diverse, la stessa vista di 20 anni fa, e il tatto distintivo degli imperi decaduti.
La cronologia è impietosa: la parabola di Kabul è l’inizio del XXI secolo. Che ci piaccia o no, i primi 20 anni del nuovo millennio sono stati questo paradigma fallito: di guerra, di democrazia, di occidente, di incontro tra mondi. Questo (per noi) fulminante epilogo sarà per un certo pezzo di mondo islamico e non solo una lunga liberazione. Con cui fare i conti, anche nell’imponente impatto simbolico che rappresenta.
Il nuovo secolo è iniziato da un ventennio, ma ci ha comunque trovati disarmati, come il cambiamento. Per capire cosa è successo , e cosa succederà, serve davvero un nuovo arsenale dello spirito democratico, e forse ancora più urgente un nuovo granaio dei diritti universali, che ricomincia per forza con un nuovo raccolto. Non è il momento di disabitare la cultura della libertà, ma di ripopolarla con l’umanità di oggi, tutta intera. Uguaglianza e diritti sono ancora i vettori della civiltà in ogni parte del mondo, ma se universale è la meta, non lo sono i modelli. Le strade per la nostra evoluzione in società migliori si sono moltiplicate, non ne esiste più una sola.
Oggi restiamo col fiato sospeso per la sorte della libertà femminile, la prima soglia della civiltà che sentiamo minacciata. Sarebbe bene ricordare che le sorti delle donne (di tutte le donne) non cominciano e finiscono con i Talebani. Ma anche che finché i diritti saranno inoculati nei corpi delle società differenti non potranno mai essere assoluti. Non si può importare la pace, non si può trapiantare l’eguaglianza, non si possono deportare i popoli dentro le storie degli altri. La libertà di ogni donna fiorirà dalla terra in cui vive, non pioverà dalla nostra metà del cielo. Una giovane donna qualche anno fa in visita ai Campirossi ha scritto sul grande libro dei pensieri: “Per liberarsi occorre un luogo dove sentirsi liberi.” La dedica era per Casa Cervi. Oggi quel luogo è l’Afghanistan, ma lo è anche la Bielorussia, l’Arabia Saudita, Il Myanmar, il Kurdistan, e ovunque risplende invincibile la sete di giustizia e di libertà. Il diritto di esistere, non il dovere di somigliare.
Tra poco ricomincerà la scuola, si riapriranno le nostre classi, piene di mondo e di sguardi freschi, affacciati per intero su questo secolo. È a loro che dovremo chiedere cosa vedono, oltre che insegnare chi essere. Abbiamo già qui, nelle nostre comunità, le ricchezze necessarie, il patrimonio umano di ragazze e ragazzi che hanno le domande urgenti e i tempi giusti. Le risposte verranno. Abbiamo il mondo qui, con noi. Nelle famiglie e nei quartieri. Non chiederemo alla scuola anche questo, perché la scuola è questo: piattaforma di futuro. E’ la scuola in cui crede Casa Cervi, è l’educazione che pratica, con gli studenti, con i giovani, con gli adulti. Parliamo a tutti loro, perché serviamo tutti, proprio adesso. Testimoni del secolo in corso.
Nel nuovo museo che sta nascendo ci sarà finalmente il mappamondo a portata di mano, in mezzo alle scolaresche, in mezzo a tutti. Non sarà più fermo su un lato, pietrificato su un fuso orario della storia. Farà quello che tutti i globi devono fare: girerà. Ripartirà dall’Afghanistan, e ovunque sia necessario posare il pensiero della libertà e il respiro della dignità umana, quella sarà la sua giusta latitudine.»
MIRCO ZANONI
Coordinatore Culturale Istituto Alcide Cervi