Il Festival di Resistenza dell’Istituto Alcide Cervi è un’esperienza che ha già una storia importante, si è sempre collocato dentro le vicende e i sentimenti del tempo che abbiamo vissuto, e lo fa anche adesso, nel tempo che stiamo vivendo. Il teatro è sempre immersione nella realtà e nello stesso tempo capacità di guardarla da fuori, con la coscienza che si interroga e prende posizione. Il teatro ha in sè una forza di evocazione e nello stesso tempo di messa in discussione, che fa trascorrere alle persone delle ore di grande investimento su di sé e sugli altri. Naturalmente, per vivere, il teatro ha bisogno di chi ci crede, di chi lo organizza, di chi lo anima, di chi mette le risorse, e noi siamo qui, in due soggetti, strettamente collegati da sempre: l’Istituto Alcide Cervi e Boorea. Non è un caso che il Presidente di Boorea sia anche il Vicepresidente dell’Istituto Cervi, ruoli distinti eppure intrecciati, per un approfondimento, un’analisi, una vigilanza su quello che si vive e su quello che accade. Un grande investimento culturale.
Avendo ben presente che il tempo della vita di oggi è collegato con la memoria, il Festival è fatto di passi dentro un calendario civile molto evocativo. Potrei dire che il senso di questo Festival sta tra due date a luglio, dal 7 luglio al 25 luglio. Il 7 luglio ricorda una Resistenza nella piazza della Vittoria di Reggio Emilia, contro un governo fascista e contro tendenze involutive e regressive per la vita politica italiana, con i caduti di Reggio Emilia, che ricorderemo anche quest’anno, partecipando alle Celebrazioni. E dopo la Celebrazione la sera del 7 luglio nell’aia di Casa Cervi ci sarà il primo degli spettacoli del Festival. Si concluderà il 25 luglio che è l’altra data molto cara a Casa Cervi, quella della gioia del primo assaggio di libertà del 25 luglio del ’43, quando i Cervi invitarono tutti a festeggiare con la Pastasciutta – che noi ormai mangiamo con il ragù, ma loro mangiavano in bianco, con burro e formaggio. Il significato di quel 25 luglio ritorna sempre ogni anno, e cioè il saper riconoscere e assaporare i segni della libertà e avere anche la consapevolezza che quella libertà può vivere anche per poco tempo, può non essere per sempre e richiede grandi sacrifici. Voglio ricordare che quel 25 luglio fu solo l’inizio di quel periodo tragico che fu la Resistenza all’occupazione, e i Cervi vissero solo pochi mesi. Furono tra i primi ad aprire la partecipazione alla Resistenza, essendo già preparati da prima all’attività antifascista, arrivarono in montagna, organizzarono le prime riunioni, incontrarono Don Pasquino Borghi; e poi tornarono a casa, dove c’erano le loro radici, le donne e i figli, e proprio per tutelare la loro casa tornarono in pianura e furono catturati sull’aia della Casa il 25 novembre. La loro vita finisce un mese dopo quando vengono fucilati al poligono di tiro. Era appena la fine del ’43, tutto doveva ancora accadere, ma tutto era già accaduto.
Noi abbiamo molto da pensare, molto da vivere, molto da capire, interpellati oggi. Molti anni dopo, ma con la stessa domanda: dove va il nostro Paese, dove va a finire? Allora capivano che andava a finire nel baratro, c’era già arrivato in tutti gli altri Paesi europei e i Cervi cercarono di fermare questo precipizio, a prezzo della vita. Si poteva pensare che era un’impresa impossibile, invece fu possibile cambiare il corso della storia.
La stessa domanda ce la poniamo oggi, e ce la poniamo anche con questa edizione del Festival di Resistenza: dove sta andando il nostro Paese?
Albertina Soliani
Presidente Istituto Alcide Cervi