Blog a cura di Raffaella Ilari con approfondimenti e interviste agli organizzatori, agli ospiti e al pubblico del 17° Festival di Resistenza
Un giorno questo dolore ti sarà utile
Intervista ad Alessandro Blasioli
Di Raffaella Ilari
“Dopo L’Aquila, Onna, Paganica, dopo Amatrice, Accumoli, Arquata, dopo la scuola di San Giuliano di Puglia, dopo il terremoto dell’Emilia, dell’Irpinia, del Friuli, cos’altro ancora dobbiamo aspettare, prima di reagire?” si chiede Alessandro Blasioli. Ed è attorno a questa domanda che si muove lo spettacolo “Questa è casa mia”, in concorso al Festival. Uno spettacolo che racconta la storia di una famiglia aquilana dopo il terremoto che ha sconvolto l’Abruzzo nel 2009. Ma è anche il racconto dell’amicizia fra Paolo e Marco, che ci restituiscono la cronaca del dopo terremoto, con gli hotel della costa e le tendopoli. L’ineluttabilità degli eventi naturali viene riletta da un punto di vista che non risparmia le responsabilità dell’uomo, delle scelte politiche ed amministrative.
Come nasce lo spettacolo?
Lo spettacolo nasce nel 2014 a seguito di una richiesta di Giancarlo Fares, mio docente all’Accademia e che firma anche la supervisione artistica. Giancarlo chiese a noi allievi di creare un corto teatrale di narrazione di circa 15 minuti su un argomento che ci premesse raccontare. Io ho raccontato del terremoto perché l’anno prima andai a L’Aquila con i colleghi dell’Accademia e rimasi sconvolto nel vederli sconvolti. I ragazzi, provenienti da varie parti d’Italia, non s’immaginavamo e non si aspettavano che L’Aquila, a distanza di tutti quegli anni, non fosse ancora stata ricostruita. Vedere le loro facce stupite rispetto alla situazione, mi ha fatto pensare che come loro anche tante altre persone pensino che tutto vada bene, che il Progetto Case funzioni alla perfezione quando invece la situazione è esattamente opposta. Quindi ho deciso di raccontare questa situazione attraverso lo spettacolo.
Si racconta anche la storia di un’amicizia… lo spettacolo può considerarsi autobiografico?
Paolo e Marco altri non sono che io ed Antonio, il mio amico de L’Aquila. Noi non abbiamo vissuto tutta la storia che racconto nello spettacolo che è un po’ romanzata. Di autobiografico c’è una frase che ho inserito nello spettacolo quando Marco di Chieti vede lo scoramento, il vuoto, l’abbandono negli occhi di Paolo, il suo amico aquilano. I due ragazzi si sono conosciuti, come nella realtà, a Silvi Marina, dove hanno passato insieme le loro estati. L’estate del 2009 rappresenta un punto di svolta nella loro relazione perché Paolo si trova improvvisamente senza casa, senza scuola, senza i suoi luoghi preferiti. Questo c’è di autobiografico: l’amicizia dei due ragazzi incrinata da questa catastrofe. La sezione del mare di Silvi Marina è molto autobiografica. Sono tutte situazioni reali che da me vissute e che ho riversato nel testo.
Si parla anche di ruolo dello Stato, in quali termini?
Parlo dello Stato perché è il secondo punto fondamentale dello spettacolo che è sì la storia di un’amicizia ma anche di tutto quello che non è andato bene nella gestione di questo terremoto come di tutti gli altri. Il terremoto in Italia esiste e continuerà ad esistere. Non è una questione di se ma di quando. E su questo io premo molto. Nonostante l’Irpinia, il Friuli, l’Emilia, l’Abruzzo, l’Italia, paese sismico, non possiede ancora una legge sismica. Ogni volta è come se cadessimo ‘dal pero’. Ogni volta siamo stupiti da quanto accade e non siamo in grado, come Stato, di organizzarci. Ogni volta si va in emergenza lasciando il potere in mano ad una sola persona. E proprio a causa di questa situazione di emergenza, ci sono state tante inverecondità.
Un giorno questo dolore ti sarà utile è l’esortazione, che tu citi, di Ovidio (Olor hic tibi proderit olim). Quanto dobbiamo aspettare ancora prima di reagire?
È una frase di Ovidio che dico al termine dello spettacolo e che trovo adatta per quello che voglio raccontare, non per spingere la popolazione alla rivoluzione ma perché vorrei creare indignazione. Non voglio spingere la gente alle armi ma ad utilizzare il cervello. Cosa posso fare per dare un contributo? Posso indignarmi? Magari sì, mettendo insieme tutte le nostre voci per chiedere una legge e non cadere ancora una volta nello sciacallaggio mediatico. Mi farebbe piacere che lo spettacolo producesse questo tipo di reazione. Non so cosa altro aspettare, io spero niente più. Spero che i morti de L’Aquila, dell’Emilia, dell’Irpinia, dell’Abruzzo, di tutti i terremoti, bastino per reagire. Siamo un popolo molto stanco. Il Museo Cervi ci insegna che negli anni di guerra ci sono state molte persone che si sono rimboccate le maniche. Oggi è molto differente l’approccio delle persone. Sento molta confusione. Spero che lo spettacolo possa ridestare dei sentimenti di indignazione e che possa trasformarsi in qualcosa di positivo che sia anche in una richiesta forte di maggiori sicurezze.
Hai avuto la possibilità di presentare lo spettacolo nelle zone terremotate?
Questa estete sono riuscito a portarlo un po’ in giro e ho avuto di recente l’occasione di farlo davanti ad un pubblico abruzzese di costa, collina e montagna. Quello di montagna è stato certamente il pubblico più attento. All’Aquila non l’ho ancora fatto. L’ho presentato però in un paesino lì vicino dove il pubblico è stato in religioso silenzio ma alla fine si è liberato in uno scroscio di applausi che mi ha anche rassicurato perché avevo paura di dire qualcosa che non andasse bene. Io che il terremoto non l’ho vissuto in prima persona ero spaventato a raccontarlo a chi invece lo ha vissuto per davvero.
Perchè la scelta di presentare il lavoro al Museo Cervi?
Perché si parla di resistenza. Stiamo per compiere il decennale, nel 2019 saranno dieci anni che la gente ha pianto i propri familiari, che ha vissuto situazioni tremende ai limiti dell’umanità nelle tendopoli, negli hotel della costa, sfrattati da una parte all’altra, presi in giro. Sono dieci anni che il popolo abruzzese resiste prima al terremoto, poi alle ‘prese in giro’ da parte della politica. Mi è sembrato giusto correlare le due resistenze perchè in ogni caso si tratta sempre di un popolo che si trova a dover reagire. Peraltro, per chi fosse interessato, il giorno dopo presenterò in prima nazionale al Teatro Sociale di Gualtieri il mio nuovo lavoro intitolato Sciaboletta che invece ripercorre la fuga del Re Vittorio Emanuele III scappato il 9 settembre ’43 in direzione Pescara passando per Chieti.
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