Blog a cura di Raffaella Ilari
con approfondimenti e interviste agli organizzatori, agli ospiti e al pubblico
del 18° Festival di Resistenza
Riccardo III e il grande dramma della perdita di memoria
Intervista a Alberto Rizzi
Di Raffaella Ilari
La memoria e la perdita di memoria – e quindi di consapevolezza del sé e del mondo attorno a sé – è un grande dramma nella vita di una persona e di coloro che vi stanno vicino.
A partire da questa condizione si muove il “Riccardo perso” uno spettacolo di Ippogrifo Produzioni, diretto da Alberto Rizzi (autore di “Sic Transit Gloria Mundi” vincitore del Secondo Premio al Festival di Resistenza 2016) ed ispirato alla vita e alla storia di Riccardo III di York, re inglese del XV secolo, protagonista dell’omonimo dramma di Shakespeare.
In scena Diego Facciotti porta nel Riccardo III l’essenza della fragilità umana mentre Chiara Mascalzoni è la moglie/amante/infermiera/madre che con ironia, sarcasmo e dolore affronta il decadimento mentale di chi si vuole bene e si ama.
Riccardo Perso si ispira alla vita e alla storia di Riccardo III attraverso la storia d’amore fra un uomo e una donna che si trovano ad affrontare la fragilità della mente umana. Come ha sviluppato il lavoro a livello drammaturgico?
Il lavoro drammaturgico è partito dall’idea di prendere un cattivo per eccellenza e di trasformarlo in un uomo fragile, malato. Sono partito dal presupposto che l’accudimento è un atto speciale d’amore e si riserva a chiunque, anche a un cattivo. Ho eletto Riccardo III a malato per eccellenza, ma anche perchè volevo riscoprire la natura umana di un personaggio mitizzato dall’opera shakespeariana.
Una stanza da letto. Riccardo è vecchio e decaduto. Marta è la sua infermiera moldava. Chi sono i due personaggi in scena interpretati da Chiara Mascalzoni e Diego Facciotti?
In realtà, in scena ci sono molti più personaggi. Chiara Mascalzoni si cala nel ruolo di tutte le donne che sono gravitate nell’orbita di Riccardo. Tante donne oppure forse una soltanto capace di essere al contempo madre, amica, compagna, infermiera.
La memoria e la perdita di memoria: come viene raccontata questa malattia cognitiva degenerativa peraltro sempre più in aumento e ancora poco affrontata a tutti i livelli?
La parola Alzheimer non viene mai pronunciata nel testo. Ho cercato di raccontare la malattia in modo poetico ma non edulcorato. La cattiveria della malattia non è esclusa dal testo. Perdere la memoria è perdere se stessi, ed è questo il grande dramma vissuto da Riccardo e da chi gli sta intorno.
L’essere anziani, il tema della cura e dell’accudimento: Riccardo è perso perché non ricorda o anche perché ha perso?
L’idea di un Riccardo che è al tempo stesso perdente e disperso nella memoria, mi ha molto affascinato. Un re cattivo, crudele, vincitore, spietato, si fa debole, fragile. Riccardo è perso perchè è tolto da se stesso, perchè non è più lui.
Si può considerare, a suo modo, una storia di resistenza?
Lo è assolutamente. La vera protagonista della storia è Anna (il personaggio principale interpretato dalla Mascalzoni). Questa donna che sa ricoprire più ruoli, accanto a un uomo malato. Sa essergli compagna, amica, madre. In fondo re-sistere è continuare ad esistere. Ma non nel senso di continuare a sopravvivere o a respirare, ma piuttosto a “essere se stessi”. L’imperativo morale della resistenza è non tradire quello che si è, e la lotta a una malattia che depriva da se stessi non è altro che un impeto di amorosa resistenza.
Lo spettacolo si avvale del patrocinio della sezione di Verona dell’Associazione Nazionale Alzheimer Italia. Come è avvenuta la collaborazione?
Non potevamo affrontare uno spettacolo che parlasse di una malattia come questa senza un approccio scientifico alla conoscenza diretta dei malati e della situazione delle loro famiglie. L’associazione Alzheimer ci ha aiutato ad avvicinarci e ad approfondire la conoscenza dell’Alzheimer. La chiave di narrazione poi è stata quella della poetica del teatro, capace di raccontare per emozioni più che per dati e statistiche.
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