Sulla Gazzetta di Parma di oggi, venerdì 12 febbraio 2021, è uscito un lungo articolo di Albertina Soliani:
Con Aung San Suu Kyi e con il popolo birmano
Una settimana fa i militari hanno preso il potere in Myanmar, arrestando Aung San Suu Kyi, il Presidente della Repubblica Win Myint, il vertice del loro partito, la Lega Nazionale per la Democrazia (NLD), attivisti, giornalisti, artisti. Poche ore prima dell’insediamento del nuovo Parlamento uscito dalle elezioni politiche dell’8 novembre 2020, stravinte da Aung San Suu Kyi e dal suo partito con l’83% dei seggi mentre il partito che sostiene i militari è arrivato al 5%.
La vittoria dell’NLD ha spaventato il Capo dell’Esercito, il Generale Min Aung Hlaing, già incriminato dalla Corte internazionale di giustizia per i crimini contro i Rohingya. A l’Aia, Aung San Suu Kyi aveva dichiarato che i responsabili dei fatti di violenza nel Rakhine sarebbero stati perseguiti dalla giustizia del suo Paese. Il Generale aveva bisogno dell’immunità, puntava ad essere Presidente.
La macchina del golpe sta stritolando il popolo e lo stato di diritto. Arresti, incarcerazioni, ordine alle forze armate di sparare sui manifestanti, oscuramento di Internet, interruzione dei collegamenti telefonici. Puntano a decapitare il partito di Aung San Suu Kyi anche per impedirgli di partecipare a eventuali nuove elezioni, promesse entro un anno. Fake news, accuse terribili quanto fantasiose, tattiche per spaventare e impaurire, caccia all’identificazione dei manifestanti. Tutto già visto nei decenni precedenti.
Anche la pandemia, nelle mani dei militari, rischia di precipitare fuori controllo.
Il popolo reagisce, risponde in modo non violento con la disobbedienza civile, rifiuta il golpe. I giovani, circa il 50% della popolazione, non si lasceranno rubare il futuro. Nelle stesse forze armate i più giovani disapprovano l’azione dei vecchi capi.
Domenica a Yangon 100mila persone sono sfilate per le strade e le piazze, alla fine con i sacchi hanno ripulito la città. La gente batte le pentole sui balconi, lascia il lavoro nei luoghi gestiti dai militari, scioperano i funzionari nei ministeri, i medici curano fuori dagli ospedali. Si aiutano tutti, nascondendo, offrendo un pasto o un lavoro. Nasce la nuova Birmania democratica dal basso, dopo la grande semina di Aung San Suu Kyi. “Please save Myanmar”, ci scrivono.
Abbiamo contatti con i nostri amici, viviamo in diretta con loro, giorno e notte. Sul sito dell’Associazione per l’Amicizia Italia-Birmania Giuseppe Malpeli (www.amiciziaitaliabirmania.it) si trovano notizie. I Parlamentari eletti hanno diffuso una dichiarazione: in tutti i modi possibili continueranno a rappresentare il loro Paese. Mentre i militari li cercano e li arrestano. “Andremo avanti fino alla fine del mondo”, hanno detto.
Il popolo birmano ha preso in mano il proprio destino, il destino della democrazia che cerca da tanto tempo. Aung San Suu Kyi, il suo popolo, la democrazia sono sempre stati una cosa sola. Lo sono oggi più che mai. Il popolo è il suo tesoro, è il tesoro del Myanmar.
La loro democrazia è la nostra democrazia. Noi oggi siamo il Myanmar.
Oggi il Myanmar è di fronte al mondo. Viviamo tutto in diretta, comprendiamo tutto. Ovunque, in molte piazze, dagli USA a Mosca, dal Nord Africa a Hong Kong, al Myanmar, i popoli vogliono democrazia, e sono colpiti dalla repressione. È la democrazia la domanda più grande che sta attraversando questi primi anni del XXI secolo.
La comunità internazionale, che ha visto in questi anni demolire Aung San Suu Kyi come icona dei diritti umani, a causa della vicenda dei Rohingya, senza avvertire il rischio delle drammatiche conseguenze di questa scelta politica, si sta mobilitando per la liberazione di Aung San Suu Kyi e di tutti gli arrestati, per il ritorno della democrazia come chiesto anche dal Consiglio di sicurezza dell’ONU. Viene in mente Gandhi: “Prima ti ignorano, poi ti deridono, poi ti combattono. Poi vinci”.
Prepariamoci, il confronto sarà duro, alla domanda di libertà i golpisti potrebbero rispondere con maggiore durezza. Il Novecento dei regimi ci ha insegnato molte cose, ci ha insegnato anche la Resistenza.
Parma, e l’Italia, hanno un legame speciale di amicizia con Aung San Suu Kyi e con il popolo birmano. Cominciato con Giuseppe Malpeli, Medaglia d’Oro alla memoria del Comune di Parma nel 2016.
L’ultima volta che abbiamo incontrato Aung San Suu Kyi, un anno fa, nel prato della casa a Naypyidaw, dove ora è agli arresti, abbiamo cantato insieme con lei “Va’ Pensiero” e “Bella ciao”. Questa è Parma per Aung San Suu Kyi. Cantavano con noi anche l’ex Presidente della Repubblica U Htin Kyaw e sua moglie Su Su Lwin, parlamentare.
Come nei primi anni Duemila, dai Portici del Grano chiediamo ora che Aung San Suu Kyi sia liberata subito, e con lei tutto il suo popolo.
Il Sindaco della Città e il Rettore dell’Università hanno già espresso la loro vicinanza.
Per Parma, Capitale Italiana della Cultura, terra di Resistenza e di democrazia, ha ancora più significato essere oggi a fianco di Aung San Suu Kyi e del suo popolo.
Albertina Soliani