78° anniversario della Liberazione di Alfonsine (RA). Intervento di Albertina Soliani

78° anniversario della Liberazione di Alfonsine (RA)
Intervento di Albertina Soliani
Presidente Istituto Alcide Cervi

10 aprile 2023

«Caro Sindaco,
Autorità tutte,
Associazioni partigiane e combattentistiche, della vita sociale e civile,
Cittadini,
a buon diritto Alfonsine oggi parla al mondo.
Perché sa cos’è la guerra, che cos’è la pace.
Alfonsine sa cosa vuol dire combattere per la libertà.
La memoria di quei giorni, settantotto anni fa, arrivata fino a noi dalle nonne e dai nonni, dalle madri e dai padri, è oggi una parola vivente.
Settantotto anni sono pochi, nella storia. È il tempo di una vita. Ad esempio, la mia. Era ieri. Quando passava di qui la Linea Gotica, chiamata poi da Kesselring “Linea Verde”, qui in Romagna lungo il fiume Senio.
Passava di qui lo spartiacque tra civiltà e barbarie, come in Normandia, come a Stalingrado e nelle Midway, nel Pacifico.
Passava per le coscienze degli uomini e delle donne dell’Europa, degli Stati Uniti, della Russia, del mondo che dissero no all’oppressione nazifascista. Dissero no alla disumanità, e dissero sì al valore umano, tutto da conquistare.
Quello spartiacque era segnato da una scelta morale, prima che politica.
Parlavano lingue diverse, il dialetto romagnolo, l’inglese, il russo. Dicevano la stessa cosa e si capivano.
Dicevano l’antifascismo, dicevano la libertà.
Un duello prodigioso, come recita la Sequenza Pasquale di ieri, coinvolse l’umanità in quei giorni: il duello fra la vita e la morte, tra le tenebre e la luce, nella passione e nella risurrezione.
Quel duello non è finito, è ancora davanti a noi. Quella scelta morale oggi riguarda noi.
Qui, in queste contrade, passò l’offensiva degli Alleati, dei britannici, degli indiani, dei neozelandesi dal dicembre 1944 al 10 aprile 1945. È l’epopea di Alfonsine.
Qui ha resistito la popolazione, con i suoi partigiani della 28° Brigata Garibaldi, i partigiani di Bülow.
Alfonsine sa cosa vuol dire resistere, con il suo Comitato di Liberazione a Casa Savioli, con Bülow e Tommaso Moro, Arrigo Boldrini e Benigno Zaccagnini, con i suoi Comitati di zona che dopo la Liberazione diventeranno le Giunte di strada. Quando nasceva la democrazia, con quello stesso spirito, con quella stessa speranza.
Alfonsine sa bene cosa vuol dire trovarsi sulla linea del fronte, tra la devastazione dei tedeschi e i bombardamenti degli Alleati.
Rimasero le macerie, con più del 70% delle abitazioni distrutte e 331 vittime civili.
Poi venne la Liberazione, e finì la guerra.
E Alfonsine ha imparato cosa vuol dire ricostruire un paese, sminare il terreno, creare futuro.
Sa quale forza d’animo deve avere una comunità per affrontare le sfide della storia, le sofferenze che attraversano le vite, e quale solidarietà e unità e fiducia siano necessarie per dare una nuova speranza alle persone, alla comunità.
Allora era in gioco semplicemente l’umanità, la dignità dell’uomo, la libertà, la giustizia, la pace. Ma non è oggi la stessa cosa? Per esse si metteva a disposizione la vita, la propria vita. E oggi?
Nel crogiuolo della storia, in quei mesi, la comunità di Alfonsine ha fatto la scelta giusta, non si è rassegnata, è rimasta al suo posto, ha resistito e ha cambiato il corso della storia.
Siamo qui oggi non solo a ricordare, ma a prendere in mano tutta intera l’eredità di quei giorni, l’unica necessaria oggi.
E a raccontarla ai giovani, a quanti allora non c’erano perché sappiano quale è stata la scelta che ha fatto di noi generazioni più libere, e più felici.
Il 10 aprile del 1945 entrarono in Alfonsine i soldati italiani del gruppo di combattimento “Cremona”. Con loro risorgeva l’Esercito italiano. Ai soldati si erano uniti i partigiani toscani, umbri, marchigiani, e i giovani ravennati.
Tra i toscani anche Vittorio Meoni, l’unico scampato un anno prima all’eccidio di Montemaggio, sulle colline senesi, nel marzo 1944.
Era l’Italia resistente, che combatteva soprattutto al Nord, ma i partigiani venivano da ogni parte, anche dal Sud.
Questa è l’Italia che si è riscattata dalla vergogna del ventennio fascista, dall’orrore della Shoah e dalla tragedia della guerra, questa è l’Italia che di lì a poco farà la Repubblica e la Costituzione.
È l’Italia antifascista che ha cambiato il corso della storia italiana ed europea. Questa è la nostra identità nazionale. È questa Italia che oggi, chi è chiamato a servire la Repubblica, deve saper rappresentare “con disciplina e onore”, come dice l’art. 54 della Costituzione.
Mi domando come possa oggi, chi è ai vertici della Repubblica, non riconoscere la scelta di allora, il valore di quel dono di sé di migliaia di donne e uomini antifascisti, resistenti, che hanno attraversato quei giorni con la coscienza eretta, non piegata, e hanno cambiato la storia. Alla fine fu la scelta di tutto il popolo.
Oggi quella scelta è ancora discussa: dal silenzio, dall’omissione, dall’imbarazzo, dalla banalità dei gesti e delle parole. Ma i fatti, la storia parlano. L’antifascismo è stato la scelta che ha scolpito, che ha forgiato la Repubblica, ha scritto la Costituzione, ha restituito umanità là dove era dilagata la disumanità. Ha aperto un mondo nuovo.
Per questo il 25 aprile è festa, festa per tutti, è festa nazionale. Per Alfonsine il 10 aprile. Si canta Bella Ciao in tutto il mondo.
Se non si rispetta la volontà di un popolo sovrano, che con la Resistenza ha riscattato la propria dignità, non si è adatti a governarlo, tanto meno a rappresentarlo. Si posso anche vincere le elezioni, ma si resta perdenti per sempre nella storia.
Riconoscerlo è verità, il resto è menzogna.
A buon diritto Alfonsine, con quello che è stata, con quello che è, parla all’Italia di oggi. Parla a quella parte della politica nazionale che balbetta sulle sue origini antifasciste.
In questo 2023 si compie l’inizio dell’ottantesimo anniversario della Resistenza.
Siano i sindaci, siano le scuole, siano la cultura e l’arte ad esprimere quella coscienza democratica italiana ed europea che la Resistenza ci ha consegnato.
Un popolo è sempre più dei suoi dirigenti. Parli ad essi il popolo, con la sua memoria, con la sua scelta dei valori umani universali.
Parli con l’esempio dei suoi martiri, di Terzo Lori e Amos Calderoni, partigiani di Alfonsine insigniti di Medaglia d’Oro.
Parli raccontando ai ragazzi come si possa vivere, e come si possa morire, per ciò che è più caro nella vita: la libertà, il rispetto degli altri, l’uguaglianza, in una parola la democrazia.
Parli ai giovani, Alfonsine. Con il suo Museo, con la sua vita, con la sua storia.
Parlino le associazioni partigiane. Educhi, la scuola, alla libertà e alla responsabilità: faccia conoscere come nasce una dittatura e come si conquista la democrazia. Lo ha detto bene la Preside di Firenze ai suoi studenti. E come si debba coltivare e concimare la democrazia, come ci diceva Tina Anselmi.
Parlino i lavoratori, parlino della Costituzione nata settantacinque anni fa, ne parlino in questo 1° Maggio che ha bisogno soprattutto di Costituzione realizzata.
Parlino le forze armate, rinate qui, e da allora a servizio della democrazia.
Oggi Alfonsine a buon diritto parla al mondo intero, ricordando la sua liberazione.
Settantotto anni dopo, di fronte all’indebolimento dei diritti umani universali, alla fragilità delle democrazie nel mondo, alla guerra in Europa con l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, alle violenze e ai conflitti che attraversano i continenti, al dialogo internazionale che stenta ad affermarsi, questa città può dire le parole che da settantotto anni custodisce: resistere alla disumanità sulla frontiera della democrazia, costruire la pace.
La resistenza è oggi nel mondo, ed è soprattutto femminile e plurale. Resistono i popoli: sotto le bombe in Ucraina, nelle piazze dell’Iran, nelle strade, nei villaggi, nelle foreste del Myanmar, nelle contrade dell’Afghanistan, ovunque si lotta per un mondo più umano, più giusto.
Chiediamo qui, da Alfonsine, che cessino le armi in Ucraina, che l’Europa e la comunità internazionale si impegnino con tutte le loro forze per aprire canali di dialogo, di trattativa, di negoziato; ritrovi la politica la sua voce e il suo vigore; si impegnino la cultura, le religioni, la società civile per aprire orizzonti robusti di fraternità universale. Fratelli tutti, come dice Papa Francesco. Niente di meno, in questo XXI secolo che porta su di sé la memoria decisiva del ‘900. Da quella memoria ricordiamo oggi l’enciclica Pacem in terris di Giovanni XXIII, pubblicata il giovedì santo del 1963, sessant’anni fa.
Vogliamo un mondo nuovo, perché portiamo con noi la lezione di quei giorni. Vogliamo una politica che abbatta i muri e costruisca ponti, affronti le immigrazioni proteggendo, accogliendo, integrando, abbia cura del creato, scelga la pace come obiettivo, come mezzo, come scelta irreversibile.
Perché questo abbiamo imparato da quei giorni: ad essere più umani. Questa è oggi la nostra responsabilità. Il tempo favorevole è questo: vogliamo costruire un mondo più umano.
Cittadini di Alfonsine, la Medaglia d’Argento al valore civile e al valore militare che è stata conferita alla città, è un riconoscimento perenne che avete meritato, ma è soprattutto un impegno per onorare oggi, e per sempre, chi ha dato la vita in quella resistenza. Un impegno di fedeltà alla scelta che ieri ha dato un futuro ad Alfonsine, all’Italia e al mondo.
Qui noi siamo nati alla libertà, qui è nata l’Italia nuova.
Questi sono i luoghi dove è nata la Costituzione, come disse Piero Calamandrei.
È qui che viene il popolo italiano, è qui che deve venire chi lo rappresenta.
Noi siamo qui, noi saremo sempre qui. Come i pini marittimi di questa terra.

Testimoni della Resistenza, per sempre.
Testimoni di quella memoria che genera il futuro.
Viva Alfonsine, viva l’Italia, viva la democrazia. Viva la pace».

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