Albertina Soliani a Ravenna per commemorare Don Minzoni: la trascrizione dell’intervento

 

Il 22 agosto 2022 a Ravenna si è tenuta la commemorazione in ricordo di Don Giovanni Minzoni, ucciso dai fascisti 99 anni fa, nel 1923. Tra le autorità, riunite di fronte alla lapide di Piazza Garibaldi, anche Albertina Soliani, Presidente dell’Istituto Alcide Cervi e Vicepresidente ANPI Nazionale. Il 23 agosto su Corriere di Romagna è uscita una lunga intervista a Soliani, che può essere letta qui.

 

99° Anniversario dell’uccisione di don Giovanni Minzoni
(Argenta, 22-23 agosto 1923)
Commemorazione a Ravenna
in Piazza Garibaldi
22 agosto 2022

Intervento di Albertina Soliani

 

C’è un luogo dove il nome di don Giovanni Minzoni viene pronunciato con un’emozione pari alla famigliarità. Il luogo è questo: la città di Ravenna, la sua comunità.
In questo luogo, sessant’anni fa, il nome di don Minzoni tornò a essere pronunciato.
Il nome del sacerdote ravennate, ucciso a bastonate in un agguato fascista, ad Argenta, dove era parroco amato, nella notte tra il 22 e il 23 agosto 1923.
Tornava a essere pronunciato dopo lunghi anni di silenzio. Pesa, quel silenzio.
Pesa nella storia, come pesano quegli anni, gli anni del fascismo, anni di vergogna per l’Italia.
In questa città vi è un altro luogo, come una radice profondissima, come il lievito nella pasta, nel quale vive il nome di don Giovanni Minzoni: è la Chiesa di Ravenna, la Chiesa di Sant’Apollinare, che ha custodito la sua giovinezza, lo ha consacrato prete, lo ha affidato alla Parrocchia di Argenta, lo ha accolto martire e oggi, nel suo Duomo, ne custodisce le ossa, per sempre.
Il nome di don Giovanni Minzoni, su questa piazza, ha acquistato cittadinanza grazie all’iniziativa di Benigno Zaccagnini, al suo animo mite, intenso e fiero. Un partigiano, un antifascista di questa terra, un democratico, un grande italiano.
Egli riconsegnò la memoria di don Minzoni non solo alla città di Ravenna, alla Chiesa di Ravenna, alla Romagna, questa terra di sangue e di vita, di libertà e di amore. La riconsegnò all’Italia. Portando alla luce quel nome, tenuto in ombra fino ad allora, nel tempo della democrazia, quando la sua memoria era così necessaria per la nuova convivenza civile della Repubblica, riconciliata nei valori umani universali, e si guardava a un nuovo ordine mondiale orientato alla pace, dopo la devastazione di due guerre mondiali, l’orrore dell’Olocausto, le macerie morali e materiali che il nazifascismo aveva provocato.
Nel buio attraversato dall’umanità, le vite come quella di don Minzoni erano una luce. Un esempio di dignità, di coraggio.
La sua passione per la vita, per la dignità della persona, per l’educazione dei giovani alla libertà e alla responsabilità erano la luce che i fascisti cercarono di spegnere. Che in ogni tempo i fascisti cercano di spegnere.
Le tenebre e la luce, un duello stupefacente, come canta la Sequenza pasquale. Il duello tra la morte e la vita.
Vincerà la vita, nella storia umana.
Da lì bisogna ripartire.
Di questi testimoni vi era bisogno all’alba della nostra democrazia, e così il nome di don Minzoni fu collocato in questa piazza. Come una pietra miliare di quel pensiero democratico che l’ispirazione cristiana aveva alimentato in Benigno Zaccagnini e in molti altri come lui. Era il 1962, due anni dopo il Governo Tambroni, sostenuto dagli eredi del fascismo, e i morti in piazza.
Il nome di don Minzoni è nel ‘900, il secolo che inizia con le trincee del primo conflitto mondiale. Lì è stato don Minzoni, lì ha sofferto con i soldati, tenente cappellano del 255° reggimento di fanteria della brigata Veneto. Senza alcuna nostalgia nazionalista, perché i nazionalismi non servono alle comunità.
Ora che tutto il ‘900 è alle nostre spalle noi ne comprendiamo tutto il cammino, e quello spartiacque tra civiltà e barbarie che oppose l’antifascismo al nazifascismo, in quel percorso stretto che decise il futuro dell’umanità.
Noi siamo qui, oggi, nel solco di questa storia perché noi, in questa storia, siamo nati alla libertà.
E con don Minzoni, dai quei primi anni del 1920 a oggi, noi raccogliamo tutta intera l’eredità di quel secolo: la libertà difesa e conquistata a così caro prezzo, la democrazia come scelta di un mondo nuovo. Passata attraverso la vita dei suoi testimoni, da don Minzoni ai partigiani di Bulow, all’Isola degli Spinaroni, con un filo ininterrotto.
È in quei mesi, in quegli anni, dell’inizio del regime fascista, cento anni fa, che persone come don Minzoni e Giacomo Matteotti testimoniarono l’opposizione al fascismo come una scelta di vita. Questo resterà della storia del ‘900.
Quanta cecità allora. E quanta chiarezza nell’animo dei resistenti. A quale prezzo, grazie a loro, cambierà il corso della storia.
Come don Minzoni, altri preti, ad esempio don Ennio Bonati a Parma, animarono gli scout in un impegno naturalmente antifascista.
In quella sera, ad Argenta, arrivò per lui la bufera. Egli mise a disposizione la sua vita come un argine, nell’urto della storia: per fermare il fascismo appena nato, e la devastazione mondiale degli anni a venire.
Aveva capito la natura disumana e violenta del regime, il suo carattere rozzo e volgare, diseducativo, e aveva deciso che il mondo non doveva essere così. Aveva deciso da che parte stare.
Cadde come il seme nella terra. Ci vorrà del tempo perché possa dare frutto.
Don Minzoni conosceva la potenza della semina, dell’educazione che forgia le coscienze e attraverso esse cambia la storia.
Conosceva le parole del Salmo 126:
“Chi semina nelle lacrime
mieterà con giubilo.
Nell’andare, se ne va e piange,
portando la semente da gettare,
ma nel tornare, viene con giubilo,
portando i suoi covoni.”
Il giubilo venne, per le strade, il 25 aprile del 1945. Quando don Minzoni diventerà un intero popolo.
Camminava nella storia, quella sera.
Camminava con il suo Signore, nel mistero della croce e della resurrezione, testimone di Cristo tra i suoi fratelli. La fede e la storia intrecciate nella sua esistenza. La sua spiritualità come asse della sua umanità. Fu essa a decidere il suo impegno nella storia.
99 anni dopo, noi abbiamo tra le mani la sua eredità, lungo un secolo. Il suo martirio, quella notte, feconderà il cammino democratico di un’intera nazione nei decenni successivi e orienterà in modo luminoso i laici cattolici direttamente impegnati nell’azione politica e sociale, come scrisse di lui il Papa Giovanni Paolo II.
Figlio e padre di quell’impegno civile dei cattolici in Italia che dalla fine dell’Ottocento a tutto il Novecento animerà la società italiana, con opere e iniziative, la sua cultura, la vita sociale, la politica. Con la fioritura di tante associazioni, di cooperative, sindacati e partiti politici.
Lui per primo, ad Argenta, fu ispiratore e guida della cooperativa agricola, dei giovani esploratori cattolici, del doposcuola, della biblioteca circolante, del teatro parrocchiale, dei circoli maschile e femminile. Aderì al popolarismo di don Sturzo. Un’azione, la sua, del tutto alternativa al fascismo, perché promuoveva l’umanità. E i fascisti ferraresi decisero di “picchiare duro”.
Era ieri, è la nostra storia.
Una storia che continua oggi.
Continua, in un’epoca così diversa, con i simboli, le idee, le aggressioni fasciste ancora tra noi, come la devastazione della sede della CGIL a Roma quasi un anno fa, come la svastica che nei giorni scorsi ha sfregiato a Torino una lapide dedicata a Tina Anselmi. Una grande testimone dello spirito del ‘900, delle scelte del ‘900, che hanno conquistato la democrazia.
Quanto fu strategica, allora, la scelta di don Minzoni: la formazione dei giovani. Quanto sarebbe strategica oggi. L’arma più potente contro ogni totalitarismo.
Don Minzoni sapeva che era necessario agire.
Che là dove il valore dell’uomo si fa decisivo per determinare il corso della storia, esserci è un dovere. Non ebbe esitazione nel “dovere dell’operare”.
Uomo fedele a Cristo e fedele alla storia.
Fede e storia, la stessa cosa. E quando la sfida è definitiva, la vita può diventare martirio. Quanti preti martiri nel ‘900, nel mondo. Fedeli all’uomo, fedeli a Cristo, il loro Maestro.
Per questa fedeltà, don Minzoni ha abitato i confini.
Ha guardato oltre la porta aperta del Circolo socialista, ha tenuto aperta la porta del suo Oratorio. Consapevole dei limiti di ogni confine.
Noi, anche grazie al suo esempio, per tutto il ‘900 abbiamo lavorato per superare i confini: i confini delle divisioni sociali, o ideologiche, i confini dei Paesi Europei per fare del nostro continente un’Unione Politica, i confini dei partiti per coalizioni più ampie, perché solo uniti si difendono i valori universali.
Fino a questo inizio del XXI secolo, di nuovo travolto da guerre, disuguaglianze, razzismo, menzogne e propaganda, e dalla cupidigia del potere dei pochi.
I confini sono tornati a essere luoghi di scontro, l’orizzonte del mondo si è fatto più oscuro, lo spirito umano sembra sempre più oscurato dalla malvagità.
Ma è sempre l’inizio di un mondo nuovo, se sappiamo resistere. Resistono oggi popoli interi, dall’Ucraina al Myanmar. Soffrono molti popoli, sotto i nostri occhi. Invocano un mondo nuovo.
Risuona, in questo nostro tempo, la parola che indica il nostro destino comune, dando voce a un’aspirazione universale: “Fratelli tutti”.
È la consegna ultima della memoria di don Minzoni che così sentiva la sua umanità, e la sua spiritualità, nei giorni così aspri dell’odio e della disumanità.
Il prossimo anno sarà il Centenario del suo sacrificio. Prepariamoci, preparatevi bene. La Città e la Chiesa di Ravenna, perché qui ci saranno l’Italia e la Chiesa italiana.
Nei giorni scorsi, venuto a conoscenza delle celebrazioni di oggi, mi ha scritto il Card. Matteo Zuppi, Arcivescovo metropolita di Bologna e Presidente della Conferenza Episcopale Italiana:
“Carissima, non ce la faccio a venire, ma senz’altro l’anno prossimo che è il centenario puoi già dire che sarò presente alle iniziative in sua memoria e che resta uno dei grandi punti di riferimento del cattolicesimo italiano. Lezione da non dimenticare. Grazie, Matteo”.
Don Minzoni visse il suo tempo, fino in fondo. Il tempo che stiamo vivendo è il nostro tempo, il tempo delle scelte nostre. Non possiamo pronunciare il nome di don Minzoni, oggi, senza sentire dentro di noi l’eco della sua scelta, e l’urgenza delle nostre responsabilità.
Il luogo dove egli vive, oggi, alla fine è la nostra coscienza, chiamata a sfide nuove, enormi, come anche le sue in quegli anni, chiamata a discernere, come lui, i segni dei tempi. E ad agire, come lui.
Tocca a noi oggi, come fece lui, aver cura dell’Italia e dell’Europa. Tocca a noi prenderci cura della democrazia: un bene delicato, fragile, diceva Tina Anselmi, “deperibile, una pianta che attecchisce solo in certi terreni, precedentemente coltivati, e concimati attraverso l’assunzione di responsabilità di tutto un popolo”.
I decenni che sono alle nostre spalle ci uniscono, non ci separano da don Minzoni.
Oggi sentiamo tutta la forza della sua scelta morale, la stessa che oggi dobbiamo compiere noi. La sua scelta ha fecondato la storia.
Quando la politica sta perdendo fiducia, efficacia, valore, è tempo di reagire. Il risveglio delle coscienze è essenziale.
Quando il mondo e la comunità internazionale sembrano inconsapevoli del rischio di precipitare verso un più ampio conflitto mondiale, prendersi cura del destino del mondo, del nostro comune destino, è, semplicemente, il nostro dovere. Non fermiamoci all’angoscia per il presente. È necessaria l’azione per il futuro, con la fiducia che il cambiamento è possibile, e che noi possiamo determinarlo.
99 anni dopo il martirio di don Minzoni, noi sentiamo che egli oggi vive con noi.
Vive la stessa responsabilità del servizio, rifiutando ogni servilismo.
In ogni tempo, nella storia, è in gioco il valore umano, è in gioco la dimensione etica del vivere, è in gioco la verità, è in gioco la democrazia, è in gioco l’unità delle comunità, dei popoli, dell’umanità. È tutto questo che assicura il futuro.
Tocca a noi decidere oggi il destino della storia umana.
Oggi è in gioco tutto ciò che siamo, e come vogliamo essere domani. Sono in gioco i valori essenziali della nostra vita. È in gioco tutto, come allora.
Questa è la politica, l’unico spazio non violento, denso di valori di umanità, che possiamo consegnare alle nuove generazioni. La politica che ama e protegge la vita, che si prende cura degli altri, il contrario del “me ne frego”. “L’amore politico”, come dice Papa Francesco.
È nelle nostre coscienze che continua a vivere don Minzoni. Nulla di meno.
“Sl’è not, us farà dè”. Voi dite, da queste parti. Chi farà il giorno, aprendo il varco nella notte?
Chi resiste. Gli uomini e le donne liberi e forti che, resistendo, danno speranza al futuro. Che nella notte vedono il giorno che viene, e lo preparano.
È il loro animo che sfida le tenebre, è il loro spirito che vincerà.
Auguri.

 

Albertina Soliani
Presidente Istituto Alcide Cervi
Vicepresidente Nazionale ANPI

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