L’intervento di Albertina Soliani alla 78ª Commemorazione dell’eccidio di Sabbiuno (BO)

78ª COMMEMORAZIONE ECCIDIO DI SABBIUNO (BO)
11 dicembre 2022
Intervento di Albertina Soliani, Presidente dell’Istituto Alcide Cervi

 

Stiamo ascoltando stamattina parole forti, per le quali loro sono morti.
Lo stesso tardo autunno, alle porte dell’inverno, lo stesso mese di dicembre, la stessa luce fredda su questa terra che rimarrà per sempre testimone dell’orrore dell’umanità. Il nostro calore stamattina li accoglie, li stringiamo al cuore.
Le stesse colline e questi calanchi che hanno visto le fucilazioni, e accolto i corpi delle vittime, dopo gli arresti, i rastrellamenti, i trasferimenti dei partigiani dal carcere di San Giovanni in Monte di Bologna. Anche il paesaggio è parte della storia umana.
È la Via Crucis della Resistenza nella zona nord est di Bologna, una delle stazioni sulla via della libertà. Forse un centinaio le vittime, neppure il calcolo è preciso, altri finirono a Mauthausen-Gusen. Partigiani e gente comune.
Era vicina la Linea Gotica, il confine sul quale si decideva la scelta tra civiltà e barbarie, e tutto si muoveva, i nazifascisti per raggiungere il nord e gli Alleati che arrivavano dal sud, e non arrivavano mai … Con le truppe coloniali dell’India e del Nepal che entreranno a Bologna e vedranno, stupiti, le due Torri. Come quelle di Singapore, diranno.
I partigiani già presidiavano i paesi e la città, poiché la scelta l’avevano già compiuta, mettendo in gioco la vita.
Questo fu la Resistenza, la scelta della luce nel duello con le tenebre, della vita contro la morte, per le generazioni future, per noi. Un duello “stupefacente”, come recita la Sequenza Pasquale.
Ha vinto la vita, e il 25 aprile ha chiuso una fase drammatica, quella della prima metà del secolo, con 100 milioni di morti, e aperto un nuovo orizzonte: quello della pace, dei diritti umani universali, della democrazia nell’Europa che era stata violata e distrutta dalle dittature.
Era il sogno di Spinelli, Coloni, Rossi nel carcere di Ventotene. Un sogno che è la realtà di oggi, il farsi dell’unione politica dell’Europa.
Torniamo qui, 78 anni dopo, per riprendere nelle nostre mani il sogno dei resistenti di allora, pagato con la vita.
78 anni sono la vita di una persona. È la mia vita, sono nata in quei giorni di dicembre. Una vita nata sotto le bombe, cresciuta nell’aia libera di una famiglia povera, sostenuta dalla Carta Costituzionale con l’istruzione, protetta dallo stato sociale, vissuta tra le opportunità di lavoro.
Una vita che vede nella sua fase conclusiva questi primi vent’anni del nuovo secolo più fragili nella democrazia, più esposti alla disuguaglianza, sconvolti da guerre, violenze, diritti calpestati.
Con la guerra in Europa, mentre sembra tramontare il mondo che ha creduto nell’ONU, nelle relazioni internazionali pacifiche, nei diritti umani universali di cui ieri ricorreva l’anniversario della Dichiarazione, nell’impossibilità della guerra dopo Hiroshima e Nagasaki.
Nel tempo presente del mondo, che è il nostro presente, nelle crescenti sofferenze dei giusti nella vita dei popoli, note al mondo intero, abbiamo bisogno di fare nostra la memoria di quei giorni, quando qui, come in tante parti dell’Europa e del mondo, si scelse di resistere.
Ritornano attuali le parole di Bonhoeffer, quando parla del giusto che riconosce la malvagità, qualcosa di empio:
“Intorno a lui tutti dicono:
è così, sarà sempre così,
dev’essere così.
Il giusto di alza
e con coraggio dice:
non deve essere così”.
È dalla sofferenza del giusto che nasce la resistenza.
La resistenza è sempre una scelta morale.
Anche oggi noi siamo interrogati.
Il mondo non deve essere così:
si fermi la guerra,
si trasformino le armi in falci, e in trattori direbbero i Cervi,
si nutra l’intero pianeta,
si abbia cura del creato,
siano fratelli tutti, altro che “carico residuale”.
Questa è la resistenza del XXI secolo.
Ogni popolo oggi, ogni angolo della terra ha la sua liberazione da compiere, la sua resistenza da attuare, la sua giustizia da realizzare:
perché viva la generazione futura.
L’Ucraina, aggredita dalla Federazione Russa.
La Russia, che sembra aver smarrito la sua cultura e la sua anima.
Il Myanmar, dove un popolo intero resiste, come allora, al tallone dei militari golpisti, e dove si condannano a morte i giovani, si uccidono gli attivisti democratici, i parlamentari, i giovani poeti. Sono uccisi nelle piazze i bambini.
E Aung San Suu Kyi è in carcere isolata dal mondo, come nel medioevo nella torre di Londra.
E di lì fa sentire la sua voce: “sono orgogliosa dei giovani del Myanmar che difendono la democrazia”.
È davanti ai nostri occhi la resistenza del popolo dell’Iran, in ogni angolo del Paese.
Delle donne, soprattutto, picchiate, sfregiate, incarcerate, uccise.
Più si addensano le nubi sul mondo, più la luce cerca di farsi largo. Popoli interi invocano, cercano, difendono la democrazia, scuotono il potere, ne travolgono le difese a mani nude, con la loro vita. Vogliono una terra nuova, dove la dignità umana, l’uguaglianza, il lavoro, la solidarietà, la pace siano gli obiettivi fondamentali della convivenza comune.
L’Italia costruirà questo orizzonte? Sarà di nuovo tra i fondatori di quella unità dell’Europa di cui l’umanità è in attesa?
Questo 2022 è un tornante della storia.
Nell’anno del centenario dell’avvento del fascismo, una vergogna per l’Italia, il popolo italiano ha compiuto con le elezioni la sua scelta politica. Una destra al governo, di una Repubblica democratica e antifascista, da servire con disciplina e onore (art. 54 della Costituzione italiana).
Come non riconoscere, nei giorni dell’insediamento del Parlamento, al Senato, nel discorso di Liliana Segre la rotta che il nostro Paese ha scelto circa 80 anni fa?
Questa è la responsabilità del presente per noi: un’Italia democratica e antifascista, un’Europa democratica e antifascista, fondata sul diritto, che costruisce la pace.
Mentre la democrazia è insidiata da sovversivi a Washington, in Germania, e per lunghi decenni in Italia.
Costruire una solida politica democratica che vigili oggi e costruisca per domani una nuova prospettiva, è oggi il nostro compito.
Vengo da Casa Cervi, dove il trattore e il mappamondo sono stati la bussola.
L’antifascismo come la risposta dell’umanità alla disumanità del potere, che nega il valore umano.
Allora hanno resistito, con pochi mezzi, misero a disposizione se stessi, la propria coscienza, la propria vita.
È quello che la storia chiede oggi a noi. Niente di meno. Metterci a disposizione, con la nostra vita, per un’Italia e un mondo migliori.
Con la nostra responsabilità, che non ci fa mai disertare gli appuntamenti che riguardano la vita del nostro Paese, della nostra Europa, del mondo.
Che non abbandona i popoli sotto l’oppressione, che non abbandona i migranti nel Mediterraneo.
Le sfide sono enormi, ma non fermiamoci all’angoscia per il presente. Era così anche allora. Il buio copriva l’orizzonte, loro hanno resistito.
È necessaria l’azione per il futuro, con la fiducia che il cambiamento è possibile, e che noi possiamo determinarlo.
Come allora.
In ogni tempo, nella storia, è i gioco il valore umano, è in gioco la dimensione etica del vivere, è in gioco la verità, è in gioco la democrazia, è in gioco l’unità delle comunità, dei popoli, dell’umanità.
È tutto questo che assicura il futuro.
Tocca a noi decidere oggi il destino della storia umana.
È in gioco ciò che siamo, come vogliamo essere domani. Sono in gioco i valori essenziali della nostra vita. È in gioco tutto, come allora.
Anche oggi la resistenza nasce da una scelta morale, che assume responsabilità politica.
La politica, l’unico spazio non violento, denso di umanità, che possiamo consegnare alle nuove generazioni.
La politica che ama e protegge la vita, che si prende cura degli altri, il contrario del “me ne frego”.
“L’amore politico”, come dice Papa Francesco.
Verrà il giorno nuovo, aprendo un varco nella notte. Chi farà il giorno nuovo? Chi resiste.
Chi nella notte scruta il giorno e lo prepara. E sfida di nuovo le tenebre, e riscatta gli orrori del passato.
Vivranno di nuovo con noi, i partigiani e i civili di Sabbiuno, cammineranno con noi, cammineranno davanti a noi.

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