20/20: due secoli a confronto, tra Rovine e Rinascimento Intervista a Ivonne Capece

Sotto la Grande Quercia
Il blog di Raffaella Ilari


Spettacolo in concorso
(S)Blocco5 (Bologna)
20/20
PERFORMANCE/INSTALLAZIONE

 

 

20/20 confronta due periodi della nostra storia, il 1920 e il 2020. Periodi molto diversi tra loro ma che hanno scosso il nostro presente e messo in crisi l’idea di futuro. Come avete lavorato su questo? Quali riflessioni portate in scena?
Lo spettacolo passa schizofrenicamente tra i due estremi di quest’arco temporale. Un giovane Giasone con un neon in mano al posto dell’agnello (un pastore di fine ‘800 che assiste alla nascita del ‘900 e che entra nel ‘900 attraverso la porta della Prima Guerra Mondiale e del Biennio Rosso) attraversa situazioni speculari in cui passato e presente si confondono. I neon trattati come bestiame (l’energia elettrica che ad inizio ‘900 sostituisce la forza animale) si trasformano nelle luci di servizio di un teatro vuoto in piena pandemia, che un giovane attore utilizza per definire lo spazio attorno a sé, per cercare traccia degli altri. Il muro di cemento delle pareti delle nostre case dalle quali, durante il primo lockdown, sentivamo gli animali riappropriarsi delle città e ricomporre un’apocalittica Arcadia dalla quale venivamo esclusi, si confonde con le pareti del carcere da cui Gramsci scrive lettere d’amore indirizzate e sua moglie a Mosca. Gli uccellini che cinguettano nelle città si trasformano negli animali mandati al macello della Prima Guerra; Gramsci si trasforma in uno di quegli animali: giovani contadini-soldato mandati in sacrificio come bestiame. Lo spettacolo galleggia costantemente tra ricordi, rovine, frammenti e disintegrazione di sogni di un secolo che è stato un’immensa macchina alimentatrice di desideri, utopie e divoratrice di quelle stesse utopie. L’alimentazione dell’utopia e la sua disintegrazione è il grande segno dell’ultimo secolo che arriva fino a noi ed il centro del nostro spettacolo.

Scrivete di Rovine e Rinascimento. Cosa rappresenta per voi il 2020?
Le rovine sono le macerie di un secolo, le macerie delle nostre coscienze che dal passato arrivano fino a noi, e dalle quali dovremmo ricavare materiali per la ricomposizione di quelle stesse coscienze. Fortini, in un testo magistrale dal nome Extrema Ratio, sottotitola: “per un buon uso delle rovine”. Il Rinascimento è stato un buon uso di rovine: una ricomposizione, una rielaborazione, una rivivificazione a partire dalle rovine del mondo greco e romano, dai frammenti, dai resti deformati di un passato solo apparentemente scollato dal presente. In questo periodo, anche da parte di esponenti delle destre estreme europee (e italiane), si sente parlare di Rinascimento, tutti sentono o propugnano la necessità di una rinascita, ma non ci dicono quali saranno i presupposti di questa rinascita, rinascere da cosa e soprattutto per diventare cosa. Perchè il pericolo nei grandi momenti di trasformazione – come senza dubbio è quello che stiamo attraversando – è di andare verso la trasformazione sbagliata o la finta trasformazione o di perdere l’occasione della trasformazione. Il 2020 apre quella possibilità di trasformazione, di rinascita, è l’inizio di quel Rinascimento, ma non può esistere una forma vera di rinascita senza un buon uso delle proprie rovine.

Perché il Novecento non finisce nel 1999 ma nel 2020?
Il Novecento per l’Italia inizia in ritardo, con la Prima Guerra Mondiale. Lì nasce il nostro paese: una società contadina che si incontra in trincea. Una società territorialmente e culturalmente divisa alla quale per la prima volta viene chiesto di combattere per una causa nazionale. L’Italia viene mandata in guerra per una scelta di pochissimi e contro la volontà della maggioranza della popolazione. Sviluppa la sua prima vera identità nazionale sugli orrori, le contraddizioni e le privazioni di una missione il cui significato politico sfuggiva ai più. Alla fine del conflitto, la guerra in Italia non finisce. Gli Arditi, cioè i soldati delle prime file, diventano la prima forza motrice delle squadre fasciste: i cannoni che avevano sparato contro il nemico, si girano e iniziano a colpire gli italiani stessi. Gli eventi del 1919/21 mettono le radici così profondamente nella società, nella politica e nella cultura italiane da condizionarne il futuro fino ai nostri giorni: il comunismo e il fascismo italiani nascono in quel biennio, la parabola socialista con la rivoluzione perfettamente “mancata” del ’20 che determinerà la rivoluzione perfettamente riuscita del fascismo nel ’22. Tutta la storia dell’ultimo secolo italiano è dipesa da quel biennio, dal Partito Socialista che sceglie di riassorbire con Giolitti le rivolte operaie all’interno di pure rivendicazioni sindacali, sgonfiando il movimento dall’interno; dalla tolleranza governativa nei confronti delle prime spedizioni fasciste nelle campagne; dall’affermazione rapidissima del partito fascista.
Il Novecento non finisce nel 1999 ma nel 2020, con l’epidemia mondiale che rappresenta l’ultimo anello di una catena di eventi e scelte che per l’Italia comincia in quel Biennio: il ventennio fascista, seguito dal ventennio consumista (che Pasolini definiva significativamente come una forma di neofascismo e di colonialismo: il neofascismo dell’uomo a una dimensione sola, il colonialismo dei nostri corpi, la cosificazione dei nostri corpi), seguito dal ventennio recessivo (iniziato tra gli anni ’80 e ’90), al termine del quale si colloca la grande Pandemia del Covid, che svergogna le inadeguatezze del sistema socioeconomico che per cento anni abbiamo tutelato, che ci virtualizza, ridefinisce l’idea di rapporto tra noi e gli altri, tra noi e la natura. Il 2020/21 e l’epoca del post-Covid che si apre davanti a noi ma che è impossibile da definire o predire, chiude certamente, con logica spietata, 100 anni di scelte socio-politiche ed economiche.

La drammaturgia è firmata da Walter Valeri, assistente ventennale di Dario Fo e Franca Rame, collaboratore di Pier Paolo Pasolini e Franco Fortini. Che ricerca è stata condotta e come viene tradotta a livello performativo?
La conoscenza con Walter Valeri è stata una delle esperienze intellettuali più importanti dei miei ultimi anni. Molte delle considerazioni che ho esposto sopra sono frutto di lunghe e numerose chiacchierate e riflessioni insieme a lui. Ci siamo sentiti per lungo tempo via Zoom prima di iniziare ad elaborare il materiale drammaturgico, lui è stato, oltre che un drammaturgo, un vero e proprio consulente creativo con il quale abbiamo ragionato la logica dei temi, le possibilità di rappresentazione di alcuni nodi considerati centrali. La totalità delle scene che compongono lo spettacolo sono mie elaborazioni visive, sonore, interpretative di spunti, suggestioni e considerazioni di Walter. Le nostre conversazioni sono state tutte registrate e sono diventate un archivio che abbiamo reso parzialmente pubblico tra gennaio e aprile 2021 attraverso un appuntamento online dal titolo 20/20 EXSTREAM. Walter oltre ad essere un intellettuale e un poeta dallo spessore straordinario, è un essere umano di incredibile sensibilità. È stato l’anima assoluta di questo progetto. È questa la ragione per cui non solo le scene rielaborano spunti e suggestioni poetiche nate da lui o dal confronto con lui, ma all’interno dello spettacolo le voci mia e sua accompagnano tramite cuffie wireless lo spettatore nella visione dell’opera, amplificando i livelli di senso degli atti performativi di Giulio Santolini.

20/20 è anche una riflessione sull’arte, sul teatro?
20/20 è anche una riflessione sull’arte, sul teatro e sugli artisti, sviluppata in un momento in cui ci era negato il contatto con gli spettatori. In scena l’attore è solo, circondato da videoproiezioni e luci elettriche che a volte lo illudono immergendolo in un mondo irreale (quello della composizione artistica, dell’illusione teatrale – quella che ci consente di vedere un ragazzo a cavalcioni su un neon e credere che stia in sella ad un cavallo), altre volte si rivelano per ciò che sono: macchine sceniche in un teatro vuoto che l’attore manovra da solo. Con lui proiezioni – che sono la virtualità del presente pandemico, ma anche quella del passato che non c’è se non attraverso residui, proiezioni, ricordi – e anche fantasmi (sonori e visivi): la virtualità delle menti creative che insieme a Giulio Santolini rendono possibile il processo artistico di 20/20: il drammaturgo e la regista, non presenti in scena ma sottintesi in ogni aspetto dell’opera, fondamentali per la sua realizzazione. 20/20 è un discorso sul teatro che diventa un pezzo di opera d’arte tra le altre: viene quindi attraversata grazie all’uso di un’audioguida (esattamente come al museo) che ne spieghi i processi, i retropensieri, la codifica delle immagini. Anch’esso, al pari del resto, è una rovina museale – perché in procinto di crollare, perché bisognosa di un restauro e di tutela.

20/20 è la seconda tappa della trilogia IO NON CI SONO. PERCORSI NELL’ITALIA FASCISTA, ANTIFASCISTA E POSTFASCISTA, un progetto artistico triennale molto articolato, vincitore del Bando per la Memoria 2019 e 2020 di Regione Emilia Romagna. Come si sviluppa questo progetto?
Io non ci sono è un progetto triennale iniziato nel 2019 e che si dipanerà sino al 2022 attraverso percorsi sonori, visivi ed emotivi lungo le strade e i sentieri dell’Emilia Romagna, attraverso i luoghi (e i non-luoghi) che hanno fatto la Storia tra fascismo, antifascismo e post-fascismo. La memoria dello scontro tra l’Italia fascista e antifascista, che segna una delle identità più profonde dell’Emilia Romagna, è il tramite per un dialogo tra presente e passato, in un momento storico nel quale crediamo sia importante ridurre la distanza tra culture diverse e contrastare le separazioni identitarie attraverso la condivisione delle memorie storiche e sociali. Ci siamo chiesti quale sia il rapporto tra un luogo e i corpi che lo hanno attraversato e vissuto, cosa rimane della memoria civile quando i corpi non ci sono più e gli spazi si sono trasformati, e se è possibile che l’identità storico/sociale di un luogo non si eclissi ma viva e dialoghi con la sua identità presente. La prima fase del progetto – realizzata nel 2019 – ha visto la creazione di un percorso itinerante (con la partnership di Atrium Cultural Route, fondazione artistica che lavora sulla storia delle architetture di regime del XX secolo in Europa, Teatro Testori Forlì e Aics Bologna e Ferrara) attraverso alcuni luoghi di tre città simbolo della memoria: Bologna, Forlì e Ferrara. Durante il percorso gli spettatori si sono immersi con lo sguardo negli spazi dei quartieri, mentre apparecchiature audio, attraverso un audio-spettacolo con voci di attori ed effetti sonori e musicali, hanno creato un’immersione ad alto impatto emotivo. I corpi del passato hanno così riabitato gli spazi del presente. A questo progetto si è accompagnata la realizzazione dello spettacolo Il Bue Nero, in partnership con ELSINOR Centro di Produzione Teatrale, realizzato a partire da saggi di Body History, sul corpo di Mussolini e la difficile eredità del suo cadavere. La seconda tappa è quella di cui fa parte 20/20.

Il Festival di Resistenza quest’anno compie vent’anni. Come può il teatro, in riferimento al periodo che stiamo vivendo, contribuire a disegnare un nuovo mondo?
La mente va ad una produzione che stiamo portando avanti insieme a 20/20 dal titolo Thinking Blind, finalista alla Biennale College Teatro 2021 per la sezione Performance Under40. Questo progetto nasce come omaggio ad un grande artista morto per AIDS, Derek Jarman. Per lavorare al progetto ho studiato la sua vita: Jarman era anche un botanico e un amante dei giardini. Quando seppe di essere sieropositivo, acquistò un cottage (dove andò a vivere) in una località desolata e terribile dell’Inghilterra: non c’era nulla attorno a lui, solo asfalto, terra e detriti (pochissime case) e di fronte una centrale nucleare. Nei sei anni in cui ha vissuto lì ha realizzato attorno alla sua casa un giardino meraviglioso composto da piante infestanti naturali (quelle che spuntano ai margini delle autostrade nonostante smog, aridità e cemento). Questo giardino oggi è un’opera d’arte visitabile. Un uomo che sta per morire e cerca il posto più inospitale del pianeta, sceglie di affacciarsi ogni giorno dalla finestra e vedere una delle cose più orride che l’essere umano abbia creato, e lì – nel luogo più lontano dalla poesia (ma più vicino alla verità) – crea un’opera di incredibile bellezza. Ecco, il teatro e l’arte oggi dovrebbero essere quel giardino: un giardino di piante infestanti cresciuto di fronte a una centrale nucleare.

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