Presentazione a cura di Massimo Venturi Ferriolo
L’occasione di aprire un corso di studi / master in paesaggio c’invita a immaginare un percorso di formazione con prospettive nuove, che fuoriescano dalla mentalità chiusa dei piccoli orti su cui siamo adagiati, vero zoccolo duro di un sistema accademico fondato su gruppi disciplinari che non comunicano fra di loro. La prospettiva è ora diversa, lo richiede la materia e il bisogno di uno strumento ormai improrogabile di governo del territorio. Questo dispositivo dovrebbe accogliere tutto lo scibile e il sapere che ruota intorno alla complessità di un paesaggio, percepito nei suoi aspetti multiformi. Multiformi come la totalità del quadro di vita delle popolazioni, ma sclerotizzato sul punto di vista «professionale» con cui l’affrontiamo, facendolo nostro e non di tutti, soprattutto degli abitanti.
Ognuno trascina la Convenzione europea verso il proprio orticello, foriero soltanto di una brillante miseria: proprio ciò che la stessa Convenzione non permette. Questa è un accordo tra coloro che l’hanno sottoscritta. È legge della Repubblica e dovrebbe essere patrimonio della res publica per una cultura, formazione e azione comune dove tutti dovrebbero democraticamente interagire condividendo il proprio quadro di vita. Lo stesso discorso vale anche per noi e per le discipline che rappresentiamo: ricche e multiformi come i paesaggi. Tutte indispensabili per il contributo specifico di ciascuna. Fanno parte della costellazione degli elementi che costituiscono un paesaggio e sono salvaguardate attentamente, nel loro accordo, dalla Convenzione. E in modo chiaro.
La Convenzione presuppone nel preambolo il raggiungimento di «uno sviluppo durevole fondato su un equilibrio armonioso tra i bisogni sociali, l’economia e l’ambiente». Questo è individuabile nel paesaggio in quanto «partecipa in modo considerevole all’interesse generale, sul piano culturale, ecologico, ambientale e sociale e che lo stesso costituisce una risorsa favorevole all’attività economica, di cui una protezione, una gestione e una progettazione appropriate possono contribuire alla creazione di occupazioni». La qualità di un paesaggio fa rima con il benessere duraturo dei suoi abitanti. La Convenzione esce dagli stretti canoni della conservazione, aprendo al futuro, alla gestione e alla progettazione legate alla multifunzionalità dei paesaggi.
Oltrepassando lo sterile dibattito uomo – natura, culturale/costruito – naturale, dobbiamo aprirci all’anticipazione del futuro con un progetto formativo lucido, completo di competenze per un corso di studi che non ha pari né precedenti per l’ambizione. Un corso di studi che non ammette poteri forti, ma un piano rigoroso, equilibrato di partecipazione dei saperi che vanno dalla sfera umanistica a quella scientifica, passando per quella tecnica e artistica, supportate dalla demoetnoantropologia. Il piano è delineato chiaramente, a mio parere, nella frase del preambolo sopra citata che prevede il «piano culturale, ecologico, ambientale e sociale». Il loro «equilibrio armonioso», per riprendere i temi della Convenzione, è il vero fondamento del nostro progetto di formazione, che deve essere di ostinato rigore, biennale. Una formazione fondata sul processo di paesaggio come insieme di movimenti interattivi di un luogo.
Massimo Venturi Ferriolo
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